Che The theory of everything – La teoria del tutto in Italia, da ora TTOE – sia un buon film pare ormai chiaro. Qualche
giorno fa ha vinto il Golden Globe per il miglior attore in un film drammatico
– Eddie Redmayne – e la Hollywood Foreign Press Association non si è
risparmiata dall’assegnargli un secondo premio, alle musiche (era candidato
anche per il miglior film e la miglior attrice – Felicity Jones). Qualche
giorno prima aveva fatto incetta di nomination (10) ai BAFTA, superando l’altro
grande biopic britannico, The imitation
game, che gli pareva favorito, grazie alla candidatura chiave alla regia (a
James Marsch, già DGA e Oscar per il bellissimo Man on Wire). Quando domani saranno annunciate le nomination agli
Oscar, è prevedibile che vedremo il film spuntare in molte categorie – paiono
sicure film, attore, attrice, sceneggiatura, musiche e trucco; possibili regia
e montaggio, che ci diranno quanto TTOE possa essere un vero contendente per
l’assegnazione dei premi. Quindi, nessun dubbio che siamo di fronte a un buon
film.
Il mio problema è: quanto è buono?
Eh sì, perché al secondo pacchetto di fazzoletti, con la
vista tanto annebbiata dalle lacrime che scendevano copiose, temo di aver perso
i già pochi barlumi di oggettività.
Se TTOE non fosse
un biopic, direi che è un film insopportabilmente sentimentale. Ma È un
biopic, e che le vicende della vita di Stephen Hawking siano tanto straordinarie
da imporre le lacrime non può certo essere imputato al film come difetto. Anzi,
il film ha il merito di aver saputo affrontare la scomoda materia della malattia senza sprofondare nel
patetico, e quelle mie lacrime di prima non erano certo di pena o pietà per
Hawking, ma di emozione e ammirazione per un personaggio che è diventato icona,
oltre che di genialità, anche di forza e voglia di vivere.
Il riferimento più immediato per la pellicola è A Beautiful Mind di Ron Howard (quattro
Oscar nel 2001). Là si trattava di matematica, qui di astrofisica; là era
schizofrenia, qui è atrofia muscolare progressiva. John Nesh – diciamolo – era
un po’ antipatico, mentre Stephen Hawking è a dir poco adorabile (almeno nel
film). Se in A Beautiful Mind la
sensazione dominante era quella del sollievo di fronte a un pericolo scampato,
in TTOE è di gioia. Di mezzo, ci sono
due storie d’amore, la prima che non finì (almeno nel film), la seconda che
finisce con molto garbo (almeno nel film).
Buon film? Ottimo film? Film furbo?
Non lo so. Mi viene da dire – so di averlo già fatto – che
è un biopic. Con tutta la retorica e le figure retoriche del biopic. Con tutti
i pregi e i difetti (inclusa qualche licenza alla realtà dei fatti) del biopic.
Senza guizzi come ci possono essere in Boyhood,
Gran Budapest Hotel o Whiplash. Ma d’altra parte TTOE non se li potrebbe permettere,
perché quella storia straordinaria che è la vita di Stephen Hawking, è anche un
recinto dal quale un film di questo genere non può fuggire.
Quindi un ottimo film, nel suo genere. Con attori straordinari
– devo ancora vedere Birdman, ma già
tifo Redmayne per l’Oscar – e un interessante taglio sul rapporto tra scienza e
genialità, che ci fornisce anche una rappresentazione interessante del sacro
furore che guida la ricerca scientifica.