Quello del regista è il mestiere più difficile nel campo cinematografico, sulle sue spalle regge il peso di enormi aspettative: di uno staff pronto a seguire ogni sua direttiva e soprattutto di quei produttori che hanno deciso di investire sul suo nome. Ma quando si tratta di un esordio alla regia il peso di quelle responsabilità è addirittura duplicato. Registi che nella maggior parte dei casi scoperti in seguito alla realizzazione di cortometraggi, raccolgono la fiducia dei produttori pronti a investire per il loro debutto.
E' stato così che un giovane Wes Anderson fu notato dalla Columbia nel 1994 con il suo cortometraggio dal titolo Bottle Rocket, che gli permise di realizzarne un lungometraggio due anni dopo. Stesso destino per Sofia Coppola con il suo meraviglioso cortometraggio Lick the Star, del 1998. Anche se vi sono casi di esordi diretti alla regia di lungometraggi con successo, basti pensare al bellissimo Pusher di Nicolas Winding Refn nel 1996, non sono tutti i casi di grande successo con il primo film da regista. Quante le volte che un film di debutto ha conquistato la critica e il pubblico? Concentrandoci sugli ultimi 20 anni, vi raccontiamo dei migliori esordi di alcuni dei più grandi registi di oggi, rimasti ancora del tutto indimenticabili.
Gummo (1997)
dir. Harmony Korine
Film divisivo, ma che con il tempo ha raggiunto l'etichetta di cult. Korine mescola il documentario al cinema di finzione, per raccontare la realtà suburbana della cittadina di Xenia in Ohio. Il film si concentra in particolare su una coppia di ragazzini: Tummler, il più grande, e Solomon, praticamente un bambino. I due vanno a caccia di gatti randagi che poi rivendono a un macellaio per guadagnare qualche soldo, poi pagano per copulare con una ragazza affetta da sindrome di Down e devono fare i conti con un ragazzino, Jarrod, che fa loro concorrenza nell'uccidere i gatti e che si occupa della nonna costretta a letto in stato catatonico. Personaggi incredibili, a metà strada tra il Freaks di Todd Browning, e una pellicola di Federico Fellini. Fortemente influenzato dalla cultura pop moderna, Korine realizza una pellicola unica nel suo genere, autentica come poche altre.
American Beauty (1999)
dir. Sam Mendes
Pellicola che segna la nascita di uno dei più apprezzati registi contemporanei. Da lì in poi Mendes confezionerà grandissime pellicole come Era mio padre, Revolutionary Road, e due ottimi capitoli della saga di 007. Sorretto dalle straordinarie performance di Kevin Spacey e Annette Bening, American Beauty racconta di Lester, un uomo la cui vita scorre in modo inesorabile e noioso, un giorno conosce Angela, la compagna di scuola di sua figlia, e rimane folgorato dalla sua sensualità. Da quel momento la sua vita cambia: si licenzia, ottiene una buona liquidazione e comincia a vivere per davvero. L'amicizia con il nuovo vicino Ricky, spacciatore di marijuana ossessionato dal padre neonazista, fa capire a Lester che la vita val la pena di essere vissuta fino in fondo. Versione modernizzata del classico Lolita di Nabokov, il film venne definito da Los Angeles Times come "uno dei più bei film dell'anno, forse del decennio, dove la sceneggiatura e le immagini raggiungono un livello di poesia cinematografica raramente raggiunta da altri film contemporanei."
dir. Harmony Korine
Film divisivo, ma che con il tempo ha raggiunto l'etichetta di cult. Korine mescola il documentario al cinema di finzione, per raccontare la realtà suburbana della cittadina di Xenia in Ohio. Il film si concentra in particolare su una coppia di ragazzini: Tummler, il più grande, e Solomon, praticamente un bambino. I due vanno a caccia di gatti randagi che poi rivendono a un macellaio per guadagnare qualche soldo, poi pagano per copulare con una ragazza affetta da sindrome di Down e devono fare i conti con un ragazzino, Jarrod, che fa loro concorrenza nell'uccidere i gatti e che si occupa della nonna costretta a letto in stato catatonico. Personaggi incredibili, a metà strada tra il Freaks di Todd Browning, e una pellicola di Federico Fellini. Fortemente influenzato dalla cultura pop moderna, Korine realizza una pellicola unica nel suo genere, autentica come poche altre.
American Beauty (1999)
dir. Sam Mendes
Pellicola che segna la nascita di uno dei più apprezzati registi contemporanei. Da lì in poi Mendes confezionerà grandissime pellicole come Era mio padre, Revolutionary Road, e due ottimi capitoli della saga di 007. Sorretto dalle straordinarie performance di Kevin Spacey e Annette Bening, American Beauty racconta di Lester, un uomo la cui vita scorre in modo inesorabile e noioso, un giorno conosce Angela, la compagna di scuola di sua figlia, e rimane folgorato dalla sua sensualità. Da quel momento la sua vita cambia: si licenzia, ottiene una buona liquidazione e comincia a vivere per davvero. L'amicizia con il nuovo vicino Ricky, spacciatore di marijuana ossessionato dal padre neonazista, fa capire a Lester che la vita val la pena di essere vissuta fino in fondo. Versione modernizzata del classico Lolita di Nabokov, il film venne definito da Los Angeles Times come "uno dei più bei film dell'anno, forse del decennio, dove la sceneggiatura e le immagini raggiungono un livello di poesia cinematografica raramente raggiunta da altri film contemporanei."
Essere John Malkovich (1999)
dir. Spike Jonze
Irriverente film d'esordio di Spike Jonze, divenuto di culto e che ha ispirato diverse pellicole a seguire. Craig è un burattinaio fallito. Sua moglie, Lotte, lavora in un negozio di animali. Marito e moglie hanno l’aria sudicia. Sciatti, disordinati, irrisolti e simpatici, galleggiano nella provvisorietà. Craig trova un impiego nell'archivio di uno strano ufficio dove una porticina, nascosta dietro uno schedario, è in realtà un passaggio segreto nella testa di John Malkovich. Il quale, dopo quindici minuti, ti vomita nel New Jersey, in un prato vicino l'autostrada. E' la sceneggiatura il punto forte della pellicola di Jonze, che ribalta inaspettatamente le idee dello spettatore, apparentemente senza alcuna logica. Perfetti i ritratti assurdi dei personaggi protagonisti interpretati da John Cusack, Cameron Diaz e Catherine Keener.
Boys Don't Cry (1999)
dir. Kimberly Peirce
A Falls City nel Nebraska, Brandon Teena, un giovane appena arrivato in città e che pensa solo a costruire il suo futuro, ha subito conquistato gli abitanti di quella piccola comunità cittadina. Le donne lo adorano e tutti sono conquistati dalla sua tenerezza e dalla sua innocenza. A Lincoln Brandon era completamente diverso, era un ragazzo in preda da sempre a una crisi esistenziale. Aveva commesso errori che gli erano costati molto cari e quando si era intromesso tra Lana e il suo ragazzo, la sorpresa aveva generato violenza. La triste favola urbana della transgender Brandon Teena, con un tragico finale, è diretta in modo unico dalla Peirce che firma anche una sceneggiatura delicata quanto cruda, basata su un fatto di cronaca realmente accaduto. Hilary Swank e Chloë Sevigny hanno un'usuale chimica e offrono le due migliori performance delle loro carriere, per cui vengono nominate agli Oscar, con la conseguente vittoria della Swank. Boys Don't Cry, che prende il suo titolo da una canzone dei The Cure contenuta nella colonna sonora, è una pellicola che colpisce nel segno.
A Falls City nel Nebraska, Brandon Teena, un giovane appena arrivato in città e che pensa solo a costruire il suo futuro, ha subito conquistato gli abitanti di quella piccola comunità cittadina. Le donne lo adorano e tutti sono conquistati dalla sua tenerezza e dalla sua innocenza. A Lincoln Brandon era completamente diverso, era un ragazzo in preda da sempre a una crisi esistenziale. Aveva commesso errori che gli erano costati molto cari e quando si era intromesso tra Lana e il suo ragazzo, la sorpresa aveva generato violenza. La triste favola urbana della transgender Brandon Teena, con un tragico finale, è diretta in modo unico dalla Peirce che firma anche una sceneggiatura delicata quanto cruda, basata su un fatto di cronaca realmente accaduto. Hilary Swank e Chloë Sevigny hanno un'usuale chimica e offrono le due migliori performance delle loro carriere, per cui vengono nominate agli Oscar, con la conseguente vittoria della Swank. Boys Don't Cry, che prende il suo titolo da una canzone dei The Cure contenuta nella colonna sonora, è una pellicola che colpisce nel segno.
Ratcatcher (1999)
dir. Lynne Ramsay
Ancor prima del suo meraviglioso E ora parliamo di Kevin, Lynne Ramsay ha debuttato con una grandiosa quanto straziante pellicola sulla forza della disperazione. Un potente racconto per immagini che segue la vita di James, un bambino che causa, involontariamente, la morte di un coetaneo. Il tragico evento segna ancora di più la sua infanzia dolorosa per lui che ha un padre alcolista e che può solo consentirgli una vita di patimenti. Il taciturno James gioca con i topi tra i sacchi dell'immondizia e dimostra uno scarso interesse per i suoi coetanei. L'unica persona che riesce a dare a James un po' di serenità è Ellen, una bambina che divide con lui una delicata intimità. Vera artista visiva del cinema, la Ramsay aveva già cominciato un percorso di affermazione di anti eroi, concentrandosi sull'età adolescenziale poi affrontata anche nel suo film successivo.
Il giardino delle vergini suicide (1999)
dir. Sofia Coppola
Tratto dal romanzo di Jeffrey Eugenides "The Virgin Suicides" è il film d'esordio di Sofia Coppola nelle sale cinematografiche. Considerato ad oggi uno dei migliori debutti registici di sempre, vantò nel suo cast nomi di prim'ordine del panorama hollywoodiano degli anni '90, come James Woods e Kathleen Turner, qui in una delle sue migliori performance, e fu il primo ruolo di spicco per una giovane Kirsten Dunst, che solo qualche anno dopo sarebbe divenuta famosa grazie alla trilogia di Spider-Man di Sam Raimi. Ambientato nella periferia di Detroit negli anni '70, il film racconta della vita di cinque sorelle, oppresse da due genitori severi e fanatici religiosi. Le vicende di queste vite, sottoposte a una terribile emarginazione e all'impedimento di vivere la propria adolescenza, vengono narrate da un gruppo di giovani ragazzi della loro scuola in cui generano una vera e propria ossessione. Grande l'introspezione e la delicatezza della pellicola.
Amores perros (2000)
dir. Alejandro González Iñárritu
Duro e crudo esordio alla regia di Iñárritu, che divide la sua pellicola in episodi, una modalità da lui molto apprezzata e successivamente seguita ancora una volta in 21 grammi e Babel. Protagonisti: Octavio che vuole fuggire con la moglie del fratello violento e raggranella i soldi per la fuga facendo combattere il suo cane. Daniel, il direttore di una rivista, che lascia moglie e figlie per vivere con una famosa modella. El Chivo, un ex terrorista, che fa il killer su commissione e vive con un branco di randagi. Filo conduttore della pellicola è l'assenza della figura paterna per ognuno dei personaggi e, paradossalmente, l'amore per i cani.
Sexy Beast (2000)
dir. Jonathan Glazer
Prima del suo bellissimo quanto sottovalutato Birth, Glazer proveniente da un background di regia di video musicali e commerciali, ha firmato una pellicola di rara audacia e originalità. Gary, ex detenuto, ha finito di scontare la sua pena e ora si gode i suoi "risparmi" sulla Costa del Sol con Deedee. Un giorno un grosso masso caduto sulla piscina di Gary turba la sua tranquillità. L'attentato è un avvertimento da parte di Don Logan, un amico dei vecchi tempi. Don vorrebbe organizzare un colpo, una rapina alle cassette di sicurezza di una banca e vuole Gary nella sua banda. Con un cast di grandi interpreti quali Ray Winstone, Ian McShane e Ben Kingsley, Glazer realizza un irriverente gangster drama, dallo stile imprevedibile.
Conta su di me (2000)
dir. Kenneth Lonergan
Nel 2016 il suo Manchester by the Sea è stato uno dei film più applauditi dalla critica americana fin dal suo debutto al Sundance. Ma già al suo esordio Lonergan aveva dimostrato le sue grandi capacità di sceneggiatore trattando con estrema delicatezza e sensibilità una tematica difficile. Un viaggio notturno in auto, un terribile incidente, una coppia di genitori perde la vita lasciando orfani i loro due figlioletti Terry e Sammy. Passano vent'anni da quel terribile incidente e Terry torna a casa dopo anni di vagabondaggi in giro per il mondo. Il conto che la vita presenta ai due ragazzi è salato: Terry è nomade, confuso, affascinante e autodistruttivo, Sammy, divorziata e con un bimbo, veste con fatica i panni della donna efficiente e irreprensibile che la bigotta comunità le ha assegnato, ma in realtà ha una personalità ribelle e scoppiettante. Terry lega istintivamente con il nipote, un ragazzino sveglio che soffre la mancanza di un padre, ma Sammy ha il terrore dei guai che il fratello può causare e quando può cerca di separarli. Nomination all'Oscar per una perfetta Laura Linney.
Hedwig - La diva con qualcosa in più (2001)
dir. John Cameron Mitchell
Prima di guadagnare la fama di regista estremo e controverso, Mitchell ha esordito con questa pellicola da lui scritta, diretta e interpretata. Hänsel cresce a Berlino Est con una madre ossessionata dalla tragedia dell'Olocausto e un padre che abusa sessualmente di lui. Diventato un adolescente dalla sessualità incerta, ha un sogno: diventare una rock star. Cambiato nome in Hedwig, vorrebbe attraversare l'oceano per tentare la fortuna: ma non è facile per lui arrivare in America. Un ritratto delirante del leader transgender di un gruppo rock negli anni '80. Ne risulta un'approfondita ricerca della crescita psicologica del personaggio, seguito sin dalla sua infanzia arrivando all'età adulta, interpretato abilmente da Mitchell, con un ritratto delicato quanto istrionico. Molteplici i momenti musicali che vedono Mitchell protagonista, all'inizio scintillante e volgendo alla fine sempre più consumato, ne ricordiamo l'esecuzione di "Origin of Love" brano originale composto per la pellicola.
Synecdoche, New York (2008)
dir. Charlie Kaufman
Caden Cotard è un regista teatrale di New York la cui vita sta prendendo una brutta piega. La moglie, pittrice, lo ha piantato per andare a Berlino, portandosi via anche il figlioletto. Nemmeno la nuova relazione con una giovane attraente e ingenua decolla. A complicare le cose ci si mette anche una serie di disturbi fisici. Estremamente preoccupato Cotard trasferisce l'intera compagnia dal teatro a un capannone, dove mette in scena uno strano spettacolo che pian piano prevede l'intera ricostruzione della città che li circonda. Fin dall'inizio Kaufman aveva affermato la sua curiosità nell'esplorare la sovrapposizione tra la finzione della narrazione e la cruda reale esperienza umana.
Hunger (2008)
dir. Steve McQueen
Regista di grande efficacia, McQueen ha portato sul grande schermo un'immersione viscerale nelle proteste all'interno della Maze Prison in Irlanda del Nord, intorno all'inizio degli anni 80, quando i detenuti politici repubblicani, tra i quali Bobby Sands (Michael Fassbender), facevano di tutto per cercare di guadagnare uno status differente da quello dei delinquenti comuni a cui venivano assimilati. Hunger è un'esperienza visiva che in qualche modo comunica ai sensi dello spettatore, catapultato nell'orrore della Maze Prison.
dir. Jennifer Kent
Clamoroso esordio alla regia dell'australiana Jennifer Kent, che realizza un film carico di citazioni ed efficace nel suo minimalismo. Sei anni dopo la violenta morte del marito, Amelia deve fare i conti con gli incubi di Samuel, il figlio di sei anni. I sogni del bambino sono tormentati dalla presenza di un mostro che ha intenzione di uccidere lui e sua madre. Quando un inquietante libro di fiabe chiamato The Babadook viene ritrovato in casa, Samuel si convince che sia proprio il babadook la creatura che non lo lascia in pace. A poco a poco anche Amelia comincia a percepire un'inquietante presenza intorno a sé, realizzando che ciò di cui Samuel la avvertiva potrebbe essere reale. Libero dagli stereotipi a cui il cinema horror mainstream ha abituato il pubblico, Babadook ricalca le atmosfere dell'espressionismo tedesco, a cominciare dal personaggio che dà il nome alla pellicola, e spaventa senza l'ausilio di jump scare o stratagemmi legati agli effetti sonori. La paura più cruda che la Kent riesce a rendere nella sua pellicola è frutto di geniali intuizioni e un'ottima tecnica registica. Degna di nota la grande performance di Essie Davis nel ruolo della protagonista.
A Girl Walks Home Alone at Night (2014)
dir. Ana Lily Amirpour
Sceneggiatrice e regista, Amirpour realizza una vivida graphic novel, immersa nelle influenze di diversi genere cinematografici: il risultato è un film del tutto nuovo, fresco quanto stimolante. Il film è ambientato ella città fantasma iraniana di Bad City, un posto che puzza di morte e solitudine, i depravati abitanti non sono consapevoli di essere inseguiti da una vampira solitaria. Amirpur si fa beffa del cinema americano, rivisitando il genere del vampyr movie con ironia e una regia impeccabile.
Strangerland (2015)
dir. Kim Farrant
Sottovalutatissimo film d'esordio della regista australiana Kim Farrant, ricalca il classico cult Picnic ad Hanging Rock, di Peter Weir. Catherine e Matt Parker stanno cercando di adattarsi alla loro nuova vita a Nathgari, una remota cittadina nel deserto australiano. Alla vigilia di una massiccia tempesta di polvere, Catherine e Matt hanno l'esistenza sconvolta quando i loro due figli adolescenti Lily e Tom scompaiono nel deserto. Con polvere rossa e tenebre che coprono ogni cosa, l'intera cittadina si unisce alle ricerche condotte dal poliziotto David Rae. Ben presto, diventa chiaro che ai due ragazzi possa essere accaduto qualcosa di terribile: sospetti, voci diffuse e antiche storie aborigene portano gli abitanti del posto a rivoltarsi contro i Parker, spinti sempre più al limite della sopravvivenza. Ne risulta un film rarefatto, dalle tinte misteriose, sorretto da un'incredibile performance di Nicole Kidman, forse al suo massimo apice interpretativo. Tra paranoia e superstizione, Strangerland potrebbe essere definito come l'adattamento del dipinto di Klimt “Le tre età della donna”, nella sua ossessiva ricerca della sessualità femminile nelle diverse età. Una sceneggiatura che lascia numerosi quesiti irrisolti, contribuisce a rendere lo spettatore vittima del terribile incantesimo del film.
Ex Machina (2015)
dir. Alex Garland
Se c'è un genere che ha avuto poca fortuna in questi anni è proprio il scifi. Dopo decenni, dagli anni '80 ai '90, di pellicole straordinarie, pochi sono stati i registi che sono riusciti nell'intento di aggiungere qualcosa di nuovo al genere. Con un'impersonificazione molto più seducente del HAL 9000 di 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, che trova le sue vesti in Alicia Vikander, Garland riporta il genere fantascientifico in sala con originalità ed efficacia. Caleb (Domhnall Gleeson), ventiquattrenne programmatore della più grande compagnia di internet al mondo, vince un concorso per trascorrere una settimana nel rifugio di montagna di proprietà di Nathan (Oscar Isaac), il solitario ceo della società. Quando giunge nella remota località, Caleb scopre di dover prendere parte a uno strano ed affascinante esperimento, in cui deve interagire con la prima vera intelligenza artificiale ospitata nel corpo di una bella ragazza robot. Già di culto la scena del blackout generato da Ava per pianificare la sua fuga con Caleb. Freddo, claustrofobico, intelligente, minimalista. Ipotesi sincera sul progresso tecnologico.
Krisha (2015)
dir. Trey Edward Shults
Dopo anni di assenza, Krisha si riunisce con la famiglia per un raduno festivo. La donna vede nella riunione un'opportunità per rimediare agli errori del passato e per dimostrare ai suoi cari di essere notevolmente migliorata, se non fosse che ad avere la meglio saranno i suoi deliri in grado di trasformare la vacanza in qualcosa di indimenticabile. Quella di Shults supera la pellicola indie drama, riuscendo a trasmettere immediatamente il suo senso delle relazioni umane, catturando un trauma generazionale, attraverso le curatissime conversazioni dei personaggi, in modo ispirato e nuovo.
The Witch (2015)
dir. Robert Eggers
Primo lungometraggio di Robert Eggers premiato al Sundance Film Festival. New England, XVII secolo. William e Katherine conducono una devota vita cristiana insieme ai loro cinque figli in una zona ai margini dell'impraticabile deserto. Quando il loro figlio neonato svanisce e il raccolto va a male, la famiglia comincia a disintegrarsi e tutti finiscono con il darsi addosso a vicenda. Il vero pericolo però è il male sovrannaturale che si nasconde nel vicino bosco. The Witch è un film che sull'aspetto tecnico vive le influenze del magnifico universo del cinema di Kubrick e Dreyer, e nella sceneggiatura, frutto di una scrupolosa ricerca tra i diari dei coloni inglesi del periodo, alla cultura narrativa dei Fratelli Grimm, questa pellicola ne risulta una versione molto più cruda e sacrilega. Un film che ha l'impianto di una classica pièce teatrale come The Crucible di Arthur Miller, ma che seguendo un vertiginoso crescendo raggiunge un magnifico apice evocativo, che spiazza lo spettatore, ritrovatosi ad assistere a una delle pellicole più eleganti e raffinate del genere horror di questo secolo.
The Eyes of My Mother (2016)
dir. Nicolas Pesce
Film del tutto atipico di Pesce, che vive delle citazioni di classici come Psyco e Occhi senza volto. Un rigoroso bianco nero incornicia l'inquietante storia di una giovane e solitaria donna è consumata dai suoi desideri più oscuri e profondi dopo che una tragedia sconvolge la sua tranquilla esistenza di campagna. Horror psicologico e malinconico allo stesso tempo. Incredibile la performance di Kika Magalhaes, maniaca della chirurgia ossessionata dal desiderio di portare avanti un percorso il cui inizio crede sia stato dettato dalla madre. Il senso di appartenenza e della famiglia vengono raccontati nel più macabro dei modi.
Altri esordi degni di nota sono quelli di Lucrecia Martel con La ciénaga (2001) e Tony Gilroy con Michael Clayton (2007). Non dimentichiamo inoltre Xavier Dolan con J'ai tué ma mère e Damien Chazelle con Guy and Madeline on a Park Bench, due giovani registi che entrambi nel 2009 hanno dato inizio a delle promettenti carriere. Poi E poi Ryan Coogler con il toccante Fruitvale Station (2013) e Deniz Gamze Ergüven con il bellissimo Mustang (2013). E infine il recente, efficacissimo horror Under the Shadow (2016) di Babak Anvari,
Qual è secondo voi il miglior esordio alla regia degli ultimi 20 anni?
Ancor prima del suo meraviglioso E ora parliamo di Kevin, Lynne Ramsay ha debuttato con una grandiosa quanto straziante pellicola sulla forza della disperazione. Un potente racconto per immagini che segue la vita di James, un bambino che causa, involontariamente, la morte di un coetaneo. Il tragico evento segna ancora di più la sua infanzia dolorosa per lui che ha un padre alcolista e che può solo consentirgli una vita di patimenti. Il taciturno James gioca con i topi tra i sacchi dell'immondizia e dimostra uno scarso interesse per i suoi coetanei. L'unica persona che riesce a dare a James un po' di serenità è Ellen, una bambina che divide con lui una delicata intimità. Vera artista visiva del cinema, la Ramsay aveva già cominciato un percorso di affermazione di anti eroi, concentrandosi sull'età adolescenziale poi affrontata anche nel suo film successivo.
Il giardino delle vergini suicide (1999)
dir. Sofia Coppola
Tratto dal romanzo di Jeffrey Eugenides "The Virgin Suicides" è il film d'esordio di Sofia Coppola nelle sale cinematografiche. Considerato ad oggi uno dei migliori debutti registici di sempre, vantò nel suo cast nomi di prim'ordine del panorama hollywoodiano degli anni '90, come James Woods e Kathleen Turner, qui in una delle sue migliori performance, e fu il primo ruolo di spicco per una giovane Kirsten Dunst, che solo qualche anno dopo sarebbe divenuta famosa grazie alla trilogia di Spider-Man di Sam Raimi. Ambientato nella periferia di Detroit negli anni '70, il film racconta della vita di cinque sorelle, oppresse da due genitori severi e fanatici religiosi. Le vicende di queste vite, sottoposte a una terribile emarginazione e all'impedimento di vivere la propria adolescenza, vengono narrate da un gruppo di giovani ragazzi della loro scuola in cui generano una vera e propria ossessione. Grande l'introspezione e la delicatezza della pellicola.
Amores perros (2000)
dir. Alejandro González Iñárritu
Duro e crudo esordio alla regia di Iñárritu, che divide la sua pellicola in episodi, una modalità da lui molto apprezzata e successivamente seguita ancora una volta in 21 grammi e Babel. Protagonisti: Octavio che vuole fuggire con la moglie del fratello violento e raggranella i soldi per la fuga facendo combattere il suo cane. Daniel, il direttore di una rivista, che lascia moglie e figlie per vivere con una famosa modella. El Chivo, un ex terrorista, che fa il killer su commissione e vive con un branco di randagi. Filo conduttore della pellicola è l'assenza della figura paterna per ognuno dei personaggi e, paradossalmente, l'amore per i cani.
Sexy Beast (2000)
dir. Jonathan Glazer
Prima del suo bellissimo quanto sottovalutato Birth, Glazer proveniente da un background di regia di video musicali e commerciali, ha firmato una pellicola di rara audacia e originalità. Gary, ex detenuto, ha finito di scontare la sua pena e ora si gode i suoi "risparmi" sulla Costa del Sol con Deedee. Un giorno un grosso masso caduto sulla piscina di Gary turba la sua tranquillità. L'attentato è un avvertimento da parte di Don Logan, un amico dei vecchi tempi. Don vorrebbe organizzare un colpo, una rapina alle cassette di sicurezza di una banca e vuole Gary nella sua banda. Con un cast di grandi interpreti quali Ray Winstone, Ian McShane e Ben Kingsley, Glazer realizza un irriverente gangster drama, dallo stile imprevedibile.
Conta su di me (2000)
dir. Kenneth Lonergan
Nel 2016 il suo Manchester by the Sea è stato uno dei film più applauditi dalla critica americana fin dal suo debutto al Sundance. Ma già al suo esordio Lonergan aveva dimostrato le sue grandi capacità di sceneggiatore trattando con estrema delicatezza e sensibilità una tematica difficile. Un viaggio notturno in auto, un terribile incidente, una coppia di genitori perde la vita lasciando orfani i loro due figlioletti Terry e Sammy. Passano vent'anni da quel terribile incidente e Terry torna a casa dopo anni di vagabondaggi in giro per il mondo. Il conto che la vita presenta ai due ragazzi è salato: Terry è nomade, confuso, affascinante e autodistruttivo, Sammy, divorziata e con un bimbo, veste con fatica i panni della donna efficiente e irreprensibile che la bigotta comunità le ha assegnato, ma in realtà ha una personalità ribelle e scoppiettante. Terry lega istintivamente con il nipote, un ragazzino sveglio che soffre la mancanza di un padre, ma Sammy ha il terrore dei guai che il fratello può causare e quando può cerca di separarli. Nomination all'Oscar per una perfetta Laura Linney.
Hedwig - La diva con qualcosa in più (2001)
dir. John Cameron Mitchell
Prima di guadagnare la fama di regista estremo e controverso, Mitchell ha esordito con questa pellicola da lui scritta, diretta e interpretata. Hänsel cresce a Berlino Est con una madre ossessionata dalla tragedia dell'Olocausto e un padre che abusa sessualmente di lui. Diventato un adolescente dalla sessualità incerta, ha un sogno: diventare una rock star. Cambiato nome in Hedwig, vorrebbe attraversare l'oceano per tentare la fortuna: ma non è facile per lui arrivare in America. Un ritratto delirante del leader transgender di un gruppo rock negli anni '80. Ne risulta un'approfondita ricerca della crescita psicologica del personaggio, seguito sin dalla sua infanzia arrivando all'età adulta, interpretato abilmente da Mitchell, con un ritratto delicato quanto istrionico. Molteplici i momenti musicali che vedono Mitchell protagonista, all'inizio scintillante e volgendo alla fine sempre più consumato, ne ricordiamo l'esecuzione di "Origin of Love" brano originale composto per la pellicola.
Synecdoche, New York (2008)
dir. Charlie Kaufman
Caden Cotard è un regista teatrale di New York la cui vita sta prendendo una brutta piega. La moglie, pittrice, lo ha piantato per andare a Berlino, portandosi via anche il figlioletto. Nemmeno la nuova relazione con una giovane attraente e ingenua decolla. A complicare le cose ci si mette anche una serie di disturbi fisici. Estremamente preoccupato Cotard trasferisce l'intera compagnia dal teatro a un capannone, dove mette in scena uno strano spettacolo che pian piano prevede l'intera ricostruzione della città che li circonda. Fin dall'inizio Kaufman aveva affermato la sua curiosità nell'esplorare la sovrapposizione tra la finzione della narrazione e la cruda reale esperienza umana.
Hunger (2008)
dir. Steve McQueen
Regista di grande efficacia, McQueen ha portato sul grande schermo un'immersione viscerale nelle proteste all'interno della Maze Prison in Irlanda del Nord, intorno all'inizio degli anni 80, quando i detenuti politici repubblicani, tra i quali Bobby Sands (Michael Fassbender), facevano di tutto per cercare di guadagnare uno status differente da quello dei delinquenti comuni a cui venivano assimilati. Hunger è un'esperienza visiva che in qualche modo comunica ai sensi dello spettatore, catapultato nell'orrore della Maze Prison.
A Single Man (2009)
dir. Tom Ford
dir. Tom Ford
Nel 2009 lo stilista Tom Ford ha sorpreso il pubblico di tutto il mondo portando in sala la sua prima pellicola da regista e dimostrando uno stile unico, ben misurato e studiato, nel rappresentare la vita tormentata di un professore di Inglese nella California del 1962, caduto nell'oblio di depressione a causa della perdita del suo più grande amore, il suo compagno Jim, morto otto mesi prima i fatti narrati nella pellicola. Protagonista Colin Firth, che offre la migliore performance della sua carriera, nomination all'Oscar non trasformatasi in vittoria. Il film, tratto dal romanzo omonimo di Christopher Isherwood, permette a Tom Ford la vittoria del Queer Lion al Festival di Venezia del 2009, rappresenta uno dei ritratti più delicati e sofferti della filmografia LGBT degli ultimi anni.
Babadook (2014)dir. Jennifer Kent
Clamoroso esordio alla regia dell'australiana Jennifer Kent, che realizza un film carico di citazioni ed efficace nel suo minimalismo. Sei anni dopo la violenta morte del marito, Amelia deve fare i conti con gli incubi di Samuel, il figlio di sei anni. I sogni del bambino sono tormentati dalla presenza di un mostro che ha intenzione di uccidere lui e sua madre. Quando un inquietante libro di fiabe chiamato The Babadook viene ritrovato in casa, Samuel si convince che sia proprio il babadook la creatura che non lo lascia in pace. A poco a poco anche Amelia comincia a percepire un'inquietante presenza intorno a sé, realizzando che ciò di cui Samuel la avvertiva potrebbe essere reale. Libero dagli stereotipi a cui il cinema horror mainstream ha abituato il pubblico, Babadook ricalca le atmosfere dell'espressionismo tedesco, a cominciare dal personaggio che dà il nome alla pellicola, e spaventa senza l'ausilio di jump scare o stratagemmi legati agli effetti sonori. La paura più cruda che la Kent riesce a rendere nella sua pellicola è frutto di geniali intuizioni e un'ottima tecnica registica. Degna di nota la grande performance di Essie Davis nel ruolo della protagonista.
A Girl Walks Home Alone at Night (2014)
dir. Ana Lily Amirpour
Sceneggiatrice e regista, Amirpour realizza una vivida graphic novel, immersa nelle influenze di diversi genere cinematografici: il risultato è un film del tutto nuovo, fresco quanto stimolante. Il film è ambientato ella città fantasma iraniana di Bad City, un posto che puzza di morte e solitudine, i depravati abitanti non sono consapevoli di essere inseguiti da una vampira solitaria. Amirpur si fa beffa del cinema americano, rivisitando il genere del vampyr movie con ironia e una regia impeccabile.
Strangerland (2015)
dir. Kim Farrant
Sottovalutatissimo film d'esordio della regista australiana Kim Farrant, ricalca il classico cult Picnic ad Hanging Rock, di Peter Weir. Catherine e Matt Parker stanno cercando di adattarsi alla loro nuova vita a Nathgari, una remota cittadina nel deserto australiano. Alla vigilia di una massiccia tempesta di polvere, Catherine e Matt hanno l'esistenza sconvolta quando i loro due figli adolescenti Lily e Tom scompaiono nel deserto. Con polvere rossa e tenebre che coprono ogni cosa, l'intera cittadina si unisce alle ricerche condotte dal poliziotto David Rae. Ben presto, diventa chiaro che ai due ragazzi possa essere accaduto qualcosa di terribile: sospetti, voci diffuse e antiche storie aborigene portano gli abitanti del posto a rivoltarsi contro i Parker, spinti sempre più al limite della sopravvivenza. Ne risulta un film rarefatto, dalle tinte misteriose, sorretto da un'incredibile performance di Nicole Kidman, forse al suo massimo apice interpretativo. Tra paranoia e superstizione, Strangerland potrebbe essere definito come l'adattamento del dipinto di Klimt “Le tre età della donna”, nella sua ossessiva ricerca della sessualità femminile nelle diverse età. Una sceneggiatura che lascia numerosi quesiti irrisolti, contribuisce a rendere lo spettatore vittima del terribile incantesimo del film.
Ex Machina (2015)
dir. Alex Garland
Se c'è un genere che ha avuto poca fortuna in questi anni è proprio il scifi. Dopo decenni, dagli anni '80 ai '90, di pellicole straordinarie, pochi sono stati i registi che sono riusciti nell'intento di aggiungere qualcosa di nuovo al genere. Con un'impersonificazione molto più seducente del HAL 9000 di 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, che trova le sue vesti in Alicia Vikander, Garland riporta il genere fantascientifico in sala con originalità ed efficacia. Caleb (Domhnall Gleeson), ventiquattrenne programmatore della più grande compagnia di internet al mondo, vince un concorso per trascorrere una settimana nel rifugio di montagna di proprietà di Nathan (Oscar Isaac), il solitario ceo della società. Quando giunge nella remota località, Caleb scopre di dover prendere parte a uno strano ed affascinante esperimento, in cui deve interagire con la prima vera intelligenza artificiale ospitata nel corpo di una bella ragazza robot. Già di culto la scena del blackout generato da Ava per pianificare la sua fuga con Caleb. Freddo, claustrofobico, intelligente, minimalista. Ipotesi sincera sul progresso tecnologico.
Krisha (2015)
dir. Trey Edward Shults
Dopo anni di assenza, Krisha si riunisce con la famiglia per un raduno festivo. La donna vede nella riunione un'opportunità per rimediare agli errori del passato e per dimostrare ai suoi cari di essere notevolmente migliorata, se non fosse che ad avere la meglio saranno i suoi deliri in grado di trasformare la vacanza in qualcosa di indimenticabile. Quella di Shults supera la pellicola indie drama, riuscendo a trasmettere immediatamente il suo senso delle relazioni umane, catturando un trauma generazionale, attraverso le curatissime conversazioni dei personaggi, in modo ispirato e nuovo.
The Witch (2015)
dir. Robert Eggers
Primo lungometraggio di Robert Eggers premiato al Sundance Film Festival. New England, XVII secolo. William e Katherine conducono una devota vita cristiana insieme ai loro cinque figli in una zona ai margini dell'impraticabile deserto. Quando il loro figlio neonato svanisce e il raccolto va a male, la famiglia comincia a disintegrarsi e tutti finiscono con il darsi addosso a vicenda. Il vero pericolo però è il male sovrannaturale che si nasconde nel vicino bosco. The Witch è un film che sull'aspetto tecnico vive le influenze del magnifico universo del cinema di Kubrick e Dreyer, e nella sceneggiatura, frutto di una scrupolosa ricerca tra i diari dei coloni inglesi del periodo, alla cultura narrativa dei Fratelli Grimm, questa pellicola ne risulta una versione molto più cruda e sacrilega. Un film che ha l'impianto di una classica pièce teatrale come The Crucible di Arthur Miller, ma che seguendo un vertiginoso crescendo raggiunge un magnifico apice evocativo, che spiazza lo spettatore, ritrovatosi ad assistere a una delle pellicole più eleganti e raffinate del genere horror di questo secolo.
The Eyes of My Mother (2016)
dir. Nicolas Pesce
Film del tutto atipico di Pesce, che vive delle citazioni di classici come Psyco e Occhi senza volto. Un rigoroso bianco nero incornicia l'inquietante storia di una giovane e solitaria donna è consumata dai suoi desideri più oscuri e profondi dopo che una tragedia sconvolge la sua tranquilla esistenza di campagna. Horror psicologico e malinconico allo stesso tempo. Incredibile la performance di Kika Magalhaes, maniaca della chirurgia ossessionata dal desiderio di portare avanti un percorso il cui inizio crede sia stato dettato dalla madre. Il senso di appartenenza e della famiglia vengono raccontati nel più macabro dei modi.
Altri esordi degni di nota sono quelli di Lucrecia Martel con La ciénaga (2001) e Tony Gilroy con Michael Clayton (2007). Non dimentichiamo inoltre Xavier Dolan con J'ai tué ma mère e Damien Chazelle con Guy and Madeline on a Park Bench, due giovani registi che entrambi nel 2009 hanno dato inizio a delle promettenti carriere. Poi E poi Ryan Coogler con il toccante Fruitvale Station (2013) e Deniz Gamze Ergüven con il bellissimo Mustang (2013). E infine il recente, efficacissimo horror Under the Shadow (2016) di Babak Anvari,
Qual è secondo voi il miglior esordio alla regia degli ultimi 20 anni?