Power Rangers – La recensione

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Di Edoardo Intonti

La prima impressione avuta guardando l’anteprima di Power Rangers, in uscita in Italia il 6 aprile, è stata di avere difronte un prodotto parzialmente riuscito nonostante la difficile sfida di conciliare un’opera prodotta  per i nostalgici della serie degli anni ’90,  cercando di intrigare  allo stesso tempo il nuovo pubblico “giovane”, sommerso ormai tra i due spaccati Marvel e DC e il bagaglio referenziale che ognuno dei due si porta dietro.
Tenendo quindi conto dello spirito con cui la pellicola si presenta, ovvero la trasposizione di una serie altamente fumettistica, con combattimenti  tra individui in tuta di lattice contro mostri di gomma di fattezze aliene, si può dire che l’ “anima” dello show sia rimasto immutata e che il regista Dean Israelite sia riuscito nell’impresa di confezionare un film sul quintetto multicolore con il quale intere generazioni sono cresciuti nei decenni precedenti.

Essendo comunque alla sua seconda regia, Israelite dimostra comunque un effettivo talento registico, niente di sensazionale, e che, per assurdo, è più apprezzabile nei momenti non correlati alle sequenze d’azione che risultano talvolta dispersive o eccessivamente lunghe.

Detto questo, che la storia sia stata scritta da ben  quattro teste (tra cui quella del nominato al premio Oscar per la sceneggiatura di Flight, John Gatins) sembra quantomeno eccessivo. 
L’intreccio costruito attorno alla scoperta dell’esistenza dei ranger e del loro villain è niente di più che la solita trama da cattivo (ex buono, passato al alato oscuro e  che vuole distruggere la terra), niente di male in ciò, sbaglia chi sceglie di vedere  Power Rangers cercando una storia interessante;
E’ sorprendente però, vedere che  i personaggi dei cinque ranger sono scritti, nella loro componente “non supereroistica” piuttosto bene e differenziati tra loro, rimanendo ovviamente un grande impasto di cliché (il leader, il disadattato , la cheerleader ecc), ma che comunque sulla carta risultano empatici con lo spettatore, poiché come insegnatoci già dai tempi di Breakfast Club, il pubblico tende a simpatizzare con dei perdenti , e questi, in fondo lo sono ognuno a modo loro.

Quello che funziona meno, sono gli interpreti scelti, sicuramente destinati a diventare dei favoriti dal pubblico, come il ranger rosso, Dacre Montgomery (che vedremo anche nella seconda stagione di Stranger Things) e il ranger blu RJ Cyler, ma che per il resto potrebbero tranquillamente subire un re-casting nel seguito senza che qualcuno se ne possa accorgere. Bryan Cranston ed Elizabeth Banks non sono d’aiuto a rendere il reparto attoriale degno di nota, ma come già detto, va bene così in queste tipo di pellicole.

La colonna sonora del maestro Brian Tyler, già autore delle musiche capolavoro di Fast and Furious 7 e Iron Man 3, sembra voler “omaggiare” con grande insistenza la colonna sonora del già citato Stranger Things, dando allo spettatore un vaga sensazione di “deja-entendu”.
In conclusione ci troviamo davanti ad un altra produzione, come molte in questo periodo, che nel tentativo di riportare in auge i protagonisti di merchandising ormai dimenticati confezionando una pellicola tranquillamente godibile se vista nello spirito giusto (cercando di ignorare le varie incongruenze della trama, o le interminabili sequenze di combattimento) e possibilmente cercando di impostare la propria età mentale a quella del decennio precedente, dove era ancora permesso emozionarsi di giganti robot a forma di dinosauri o armature che si attivano solo grazie allo spirito di gruppo.
VOTO: 6/10