Homeland 6×09 e 6×10 – La recensione

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Di Daniele Ambrosini


Sock Puppets – 6X09

Dopo aver mostrato evidenti limiti nell’episodio precedente Homeland si riprende con un episodio carico di tensione e narrativamente pieno di spunti interessanti per la trama impostata durante la stagione, ma anche per la trama orizzontale dell’intera serie. A soli tre episodi dalla fine della stagione si fa evidente la volontà di chiudere il cerchio su quanto raccontato in questa annata, tutti i nodi stanno lentamente venendo al pettine e molte questioni potevano essere risolte anche prima, ma questo contribuirà a rendere il finaledi stagione ancora più carico.

L’episodio inizia con Carrie in primo piano, Claire Danes recita quello che a prima vista sembra un monologo, con la camera fissa su di lei che non permette al suo personaggio di dissimulare le sue emozioni contrastanti e l’evidente imbarazzo; dopo qualche battuta ci rendiamo conto che Carrie sta affrontando un colloquio con uno psicologo che dovrà stabilire se può incontrare di nuovo sua figlia. Ci risiamo, quando non è il suo lavoro è la sua vita privata che le chiede di lottare, e Claire Danes dà il meglio di sè grazie anche a quel tocco profondamente umano che Chip Johannessen riesce ad imprimere ai suoi script. Per Carrie non c’è pace: proprio quando Javadi sembrava essere al sicuro, passato dalla parte di Dar Adal, questi lo tradisce, così Javdi chiama Carrie che è in grado di recuperare il suo telefono che contiene prove fondamentali per incastrare Adal. Ricomincia così il braccio di ferro con il presidente Keane, messa in una posizione sempre più difficile. Nel frattempo la svolta più significativa arriva tramite Max che riesce a farsi assumere nella misteriosa aggenzia dove l’agente Colin aveva tentato di entrare senza successo il giorno della sua morte. Proprio a questa agenzia potrebbero essere legati gli sviluppi più interessanti del finale di stagione, oltre ovviamente alla storyline di Dar Adal, sempre più implicato nell’attentato di New York. 
Molta carne al fuoco in questo episodio, ma nonostante questo niente risulta eccessivo se non forse il ruolo di Peter Quinn, ormai sempre più macchiettistico. Tanta tensione e molti colpi di scena per un episodio che era chiamato a risollevare le sorti della serie dopo il deludente “alt.truth” che aveva reso evidente come il materiale di questa stagione se non gestito al meglio potesse diventare noioso ed autoreferenziale, siamo sempre più lontani dai fasti del passato eppure le speranze che questo finale di stagione possa essere entusiasmante e ben gestito potrebbero non essere vane.

VOTO: 8/10

The Flag House – 6X10

“The Flag House” è un episodio ancora narrativamente saturo ma più riflessivo, c’è meno azione e molto si gioca sui dialoghi e sui giochi di potere che intercorrono tra i personaggi e che inevitabilmente segneranno il finale di stagione, ormai sempre più vicino, in cui a farne le spese sarà sicuramente uno o più dei personaggi maggiormente esposti, che sia Dar Adal a dover lasciare la serie alla fine della stagione? Oppure sarà la presidenza della Keane ad essere a rischio? E Carrie e Saul dove saranno tra due episodi?
Carrie si tira indietro all’ultimo durante la deposizione che potebbe incastrare Dar Adal perchè lui tiene in pugno sua figlia che è la sua priorità, non può rischiare di perderla. Questo crea incertezza nella presidente Keane che oltre ad un diverbio con Carrie, ha anche un ostile colloquio con Adal, il primo scontro dichiaratamente aperto tra i due che porta Adal a colpirla ancora più forte pubblicamente con l’ausilio dell’agenzia misteriosa di controllo delle informazioni nella quale Max è riuscito ad infiltrarsi. Nel frattempo Saul sembra deciso a scappare dal polverone mediatico e i risvolti negativi sulla sua carriera che l’incriminazione di Dar Adal implicherebbe per lui. Peter Quinn continua ad indagare sui fatti che hanno portato all’attentato di New York. 
C’è poca azione vera e propria in questo episodio, molto si muove grazie ai dialoghi, ai ripensamenti, ai delicati equilibri istituzionali, ai giochi di potere che intercorrono tra i personaggi; insomma tutto è più evanescente e calcolato, una scelta che non intacca affatto la qualità e la godibilità complessiva dell’episodio ma che segna comunque un cambio di registro abbastanza evidente rispetto all’episodio precedente. La storyline di Peter Quinn inizia a diventare sempre più superflua e meno credibile, tutto ciò che lui scopre relativamente all’attentato di New York probabilmente Carrie l’avrebbe potuto scoprire prima e più efficacemente, anche occupandosi della questione di Dar Adal e della figlia, è lui il punto debole della serie in questo momento. 
Si avverte la sensazione che “The Flag House” sia un episodio di transizione, in preparazione di un finale che dovrà rispondere a molte domande e chiudere molte questioni in sospeso che, si spera, possano trovare una risposta negli ultimi due episodi. Appare evidente che il ritorno in America di Homeland è riuscito per metà, vedremo se arriveranno notizie anche su questo nelle ultime due ore di questa stagione. 

VOTO: 7,5/10


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