È trascorsa una settimana dalla distribuzione nelle sale italiane di The Beguiled (L'inganno), sesto lungometraggio di Sofia Coppola. L'identità di quest'ultima è nota pressoché a chiunque; figlia d'arte, viene allevata sui set cinematografici dal padre, il gigante della New Hollywood Francis Ford Coppola. Lasciando però da parte la fama del cognome, quel che ancora oggi non è pienamente chiaro di Sofia Coppola, è cosa voglia dire, cosa voglia comunicarci attraverso il cinema.
Nel corso degli anni, se ne sono dette di tutti i colori su questa cineasta, sul suo rapporto con il mezzo cinematografico, e sulle scelte stilistiche riguardanti la propria opera. Al di là di tutto, non si può negare che Sofia Coppola abbia sempre proseguito il suo percorso nel modo più coerente possibile; coerenza ritrovabile non solo nella tecnica, ma anche e soprattutto nell'estetica. Da questo punto di vista, è senz'altro una delle autrici più importanti del secolo attuale e non solo. "Non ho studiato da regista e non ho mai pensato di fare questo lavoro, ma mi ci sono trovata in mezzo ed ho provato", così si è espressa in merito alla propria figura artistica, ed effettivamente dai suoi lavori, più che una formale preparazione (che ha comunque ottenuto fra le braccia del babbo), traspare tanto amore. Ciò nonostante, risulta quasi paradossale come ogni suo film, semplice o addirittura banale ad una prima e veloce occhiata, sia invece sorretto da una base alquanto complessa.
Non è da meno quest'ultimo The Beguiled, adattamento cinematografico del romanzo A Painted Devil (1966) scritto da Thomas P. Cullinan, già portato sul grande schermo da Don Siegel nel 1971. Sebbene non si tratti di un soggetto originale e personale, al suo interno sono presenti tutti gli elementi che compongono il cinema di Sofia Coppola. Innanzitutto, è il secondo romanzo con il quale ella si confronta; il primo fu "Le vergini suicide" di Jeffrey Eugenides, e non è un caso che The Beguiled sia stato soprannominato più e più volte "Il giardino delle vergini omicide", in quanto si tratta di un vero e proprio ritorno al passato. Se The Bling Ring andava a chiudere un cerchio incentrato sul vuoto esistenziale delle celebrità, The Beguiled lo riapre, o piuttosto lo espande, spostando l'attenzione e lo sguardo della regista su un altro piano, quello storico. Tuttavia, quando si parla di 'storia' in relazione a Sofia Coppola, è necessario tenere conto di un dato di fatto inequivocabile, che però molto spesso sfugge ai più: il cinema di Sofia Coppola non ha tempo, o per meglio dire, ce l'ha ma non possiede alcuna rilevanza. Prendiamo per esempio Marie Antoinette e il già citato The Bling Ring; il primo è ambientato nella Francia del '700 e il secondo in una Los Angeles post-2000 - più di 200 anni di differenza -, eppure i personaggi che vediamo inscenati, le loro indoli, i loro desideri e le loro debolezze, non mutano, ma al contrario vanno a designarsi l'uno con l'altro. Questo poiché, per l'appunto, la storia non è mai stata un contesto, ma un pretesto. Pretesto per narrare le varie, personali tematiche, senza l'utilizzo di filtro alcuno. Insomma, sin dal suo esordio dietro la macchina da presa, Sofia Coppola si impegna ad ignorare e oltrepassare il tempo che scorre sul grande schermo - e che contraddistingue il cinema dalla televisione o dal teatro - permettendosi così di dare vita ad una peculiare visione dell'immagine e del suono, in grado di reinventare il mezzo cinematografico stesso.
Tornando a The Beguiled, si potrebbe pensare che il film nient'altro sia che un rifacimento dal punto di vista femminile dello storico La notte brava del soldato Jonathan. In realtà, l'intero progetto va ben oltre il becero concetto di remake. Difatti, Sofia Coppola prosegue quella che è la sua filosofia, della quale il vero e assoluto protagonista è il genere umano e la propria condizione esistenziale. I caratteri inscenati sono tormentati, ognuno per ragioni diverse, vincolati da una punizione di cui non possono liberarsi, imprigionati all'interno di gabbie concepite dalla mente, e generate da labili privilegi con i quali essi si sono consumati, chi per pigrizia e chi per incoscienza. Sia per aver vissuto sotto i riflettori sin dalla tenerà età, che per l'incapacità di emanciparsi dalle sue vesti da eterna teenager, Sofia Coppola è da sempre legata agli adolescenti (pre- o tardo-). Dopotutto, ogni suo personaggio è un adolescente in crisi; anche i quarantenni, nell'animo, lo sono. Basti pensare al Bob di Lost in Translation interpretato da Bill Murray, il quale, forse, trovò nell'amore per Charlotte la chiave di liberazione dagli obblighi imposti ed auto-imposti. Nel bene e nel male, sono tutti alla ricerca di quell'ignoto che li possa salvare, quel luogo sconosciuto ma reale, che Sofia ha denominato Somewhere, poiché sappiamo che è 'da qualche parte', ma non dove. I soldi non lo possono comprare, né svelare, ed è per questo che infine si ritrovano nello stesso punto, sempre, inermi e privi di un futuro, ciascuno confinato nel suo minuscolo mondo, tanto elementare quanto complesso. Un mondo che si limita ad essere una stanza d'albergo o una cameretta accogliente. Vuoto dunque, proprio come chi lo abita.
Da un punto di vista puramente estetico, The Beguiled è senz'altro l'apice di Sofia Coppola. La sua impronta stilistica, il suo comporre l'immagine come un quadro ottocentesco, rende il film pittoresco, grazie anche ad un uso della fotografia che alterna i colori da caldi a freddi, un po' per simboleggiare il variare dello stato d'animo dei personaggi. Se poi pensiamo a quanto l'utilizzo delle musiche sia cambiato - dal vivace pop/rock alle sinfonie basate sul Magnificat di Claudio Monteverdi (composte dai Phoenix) - ci rendiamo subito conto di essere di fronte al suo film più maturo, ove quella filosofia citata poc'anzi non cambia, ma evolve. L'unica cosa che non è variata sono le catene della solitudine, sempre li ad imprigionare e imprigionarci.
E si ritorna così alla vuotezza, il cuore pulsante di questo cinema; come vuota fu Versailles, l'unico sprazzo di storia prima di The Beguiled, vuoto rimarrà il collegio di Miss Martha. Nemmeno lei, né il caporale McBurney hanno saputo redimersi, farsi valere, e fuggire una volta per tutte dalle grinfie di un universo a cui nessuno di loro appartiene. C'è anche da dire che la lotta politica fra nordisti e sudisti non ha affatto aiutato, ma anzi, ha contribuito all'ennesima distruzione di un ulteriore microcosmo. Eppure, la guerra non la vediamo mai; al massimo, udiamo gli spari, i boati. La fine di tutto è vicina, ma non sappiamo quando arriverà, e non possiamo far altro che sognare. Sognare di giungere, finalmente, a Somewhere ed essere liberi, mentre i cancelli si chiudono definitivamente, per sempre.