6.9.17

Venezia 74: Ammore e malavita - La recensione del musical italiano dei Manetti Bros.

Di Simone Fabriziani

Bisogna entrare nel gioco, lasciarsi trasportare e nuotare tra le onde pulp e cinefile del cinema dei Manetti Bros.  per promuovere a pieni voti l'inedito musical in salsa napoletana Ammore e malavita. Ma non chiamatelo musicarello.

Il nuovo film dei Manetti non può e non deve essere ricondotto alla grande tradizione passata del genere neomelodico napoletano, né tenta in fondo di riportarlo in auge; semmai "Ammore e malavita"omaggia i topoi narrativi del genere tutto italiano nell'intreccio dei protagonisti, eternamente invischiati in amori impossibili, in giochi di potere proibiti e nella lotta ad una criminalità incrociata (l'impronunciabile Camorra), piaga incancellabile del territorio campano in cui si mette in scena la vicenda paripatetica di un implacabile sicario (Giampaolo Morelli) in fuga dalle grinfie del temibile Don Vincenzo (Carlo Buccirosso) dopo aver salvato la vita al testimone di un omicidio, una sua vecchia fiamma (Serena Rossi). Sullo sfondo dell'amore ritrovato, uno scambio di identità ad un funerale "di facciata" degno delle migliori trame spionistiche della serie di 007.

In fondo Ammore e malavita è l'ennesimo, grande esempio di salto della fede dello spettatore di fronte al cinema dei fratelli romani; inutile ribardirlo, la loro filmografia ha da sempre solcato i mari della miglior produzione indipendente, sifdando le convenzioni codificate del cinema di lingua italiana e avventurandosi coraggiosamente in territori inesplorati nella Penisola, e basti pensare a titoli (s)cult come Zora la vampira (2000), Piano 17 (2005) e L'arrivo di Wang (2011), quest'ultimo già applaudito sei anni fa proprio in Laguna in maniera del tutto inaspettata.
Fieramente cinefilo, citazionista, ironico ed irresistibilmente canterino, Ammore e malavita potrebbe funzionare nei prossimi mesi come inedito e non convenzionale tramplino di lancio per i fratelli registi e sceneggiatori per una rivalutazione della loro rivoluzionaria poetica per il grande schermo. Almeno per l'Italia.

VOTO: 7,5/10