Sono state spese parole su parole riguardo quanto la televisione sia ormai equiparabile al cinema in questi anni, e in molti casi risulti uno spazio maggiormente privo di restrizioni per i nuovi talenti creativi dell'intrattenimento. Per un attore dunque, ad oggi la scelta sta nel mezzo di fruizione della storia, e dunque nella piazza di esposizione della sua performance.
Nel 2017 abbiamo visto grandi eccellenze all'opera con personaggi di notevole complessità nel piccolo schermo, ma se da nomi come Jessica Lange e Nicole Kidman, l'eccellente performance era del tutto prevedibile, sono i nuovi talenti e in altri casi i caratteristi ad essere emersi sorprendendo il pubblico. Allo stesso modo è accaduto anche nel cinema, dove attori in erba hanno offerto il loro meglio e spezzato finalmente i limiti recitativi rimproverati in precedenza dalla critica, nomi sconosciuti hanno catturato l'attenzione degli spettatori, mentre attori e attrici hanno svestito i propri panni più usuali per dimostrare, o forse per semplice vocazione, versatilità.
Kristen Stewart - Personal Shopper
Da qualcuno vilmente marchiata a vita per il ruolo di protagonista nella saga romantica/fantasy Twilight, Kristen Stewart ha invece dimostrato negli ultimi anni di avere ben chiare le idee su quale sia la sua strada di attrice; molto cinema indie è servito a forgiarla ma dopo un debutto a Cannes nel 2016, e approdata nelle sale americane e italiane questa ultima impredicibile pellicola che mescola con eleganza il noir al paranormale. Qui la Stewart interpreta una personal shopper, che si muove furtiva in una palpitante Parigi, interrogandosi e facendo i conti con l'aldilà, attraverso delle efficacissime sequenze di Olivier Assayas. L'intensità emotiva della Stewart non ha eguali, tant'è che sarebbe sensato definire la sua tra le migliori performance dell'anno, e certamente tra le più sorprendenti in quanto la maturità nella resa del suo personaggio, in continuo bilico tra sensualità e forte fragilità emotiva, la paragona a una giovanissima Isabelle Huppert; e non balzate per il paragone sacrilego. Ogni struggimento del personaggio di Maureen viene trasmesso con efficacia dalla Stewart, che rappresenta l'apice della splendida pellicola di Assayas.
Florence Pugh - Lady Macbeth
Attiva da pochissimi anni nel mondo del cinema, con la sua performance in Lady Macbeth, thriller fortemente hitchcockiano di William Oldroyd, la Pugh si è immediatamente imposta tra i nuovi talenti più interessanti e richiesti del momento. Richiamando alla Meryl Streep de La donna del tenente francese nel suo mood, la Pugh veste un personaggio estremamente scomodo, politicamente scorretto, in contrasto da ghiaccio e fuoco, fortemente carnale ma al contempo terribilmente arida, arrivista e meschina. L'attrice inglese interpreta una donna forzata a un matrimonio di convenienza nell'Inghilterra del XIX secolo, ma che nella relazione extraconiugale con il bracciante Sebastian, trova una disperata via di fuga, che la porterà a scendere ai più meschini e indicibili atti.
Jonathan Groff - Mindhunter
La serie creata da Joe Penhall, e diretta dall'altisonante David Fincher, rappresenta uno dei punti più alti della produzione di Netflix negli ultimi anni, ma anche una delle migliori serie del 2017. Raccontando un retroscena differente dell'FBI, Mindhunter è anche il terreno di prova per un interprete da cui in pochi si sarebbero aspettati tanto. Chi ricordava infatti Jonathan Groff come stellina della serie televisiva Glee, il musical adolescenziale di Ryan Murphy, ha dovuto ricredersi per la sua innegabile full immersion nel personaggio di Holden, un agente che attraversa crisi esistenziali e si ritrova a fare i conti con la propria coscienza. La maturità di Groff è tale a quella di una Jodi Foster de Il silenzio degli innocenti, e come lei si ritrova a fronteggiare i più temibili maniaci omicidi, che da lì in poi saranno definiti serial killer.
Catherine Keener - Get Out
Caratterista longeva, dalla sensualità innata in pellicole come Essere John Malkovich di Spike Jonze, sua prima nomination all'Oscar nel 2000 che sarà poi seguita da Capote nel 2006; la Keener prende parte a una delle pellicole più discusse, amate da pubblico e critica, dell'anno. Get Out, nonostante la sua release estiva, sarà una presenza imposta nella stagione dei premi di fine anno, però la Keener trova difficilmente il suo spazio, nonostante il suo sia il personaggio più iconico della pellicola. L'attrice interpreta infatti l'inquietante Missy Armitage, madre del mal capitato protagonista, psicologa e capace di una fantomatica ipnosi; lo sguardo della Keener intenta a girare il cucchiaino nella tazzina per compiere il suo "maleficio", è infatti già storia del cinema, ed è un rammarico che tale gesto non possa essere sottoposto anche agli stessi Academy.
Danielle Brooks - Orange Is the New Black
Il piatto forte della quinta, sperimentale, stagione della serie di Jenji Kohan, è stato l'emersione del personaggio di Taystee. A discapito delle protagoniste Laura Prepon e Taylor Schilling, la Brooks ha infatti preso il timone della nave/carcere, intraprendendo la crociata di Tasha per l'emancipazione, la giustizia ma soprattutto la vendetta per la compagna Poussey, tragicamente scomparsa. La componente "black" della serie ha un valore ben più speso in questa stagione, ed è un bene che gli autori abbiano affidato tale compito alla Brooks, che si dimostra non solo componente comica del cast, ma anche interprete capace di incarnare una tale rabbia e coscienza, in questi casi estremamente pericolosa.
Kelvin Harrison Jr. - It Comes at Night
Dopo il meraviglioso Krisha, il giovane Trey Edward Shults passa a un genere totalmente opposto: l'horror. E se nel suo acclamato film d'esordio la protagonista era la più attempata Krisha Fairchild, qui il punto focale è il giovane protagonista Kelvin Harrison Jr., che veste i panni di Travis, il figlio di una coppia che si isola da un mondo dilaniato da un'imprecisata malattia, e si ritrova a fare i conti con un'altra coppia viandante nella loro medesima situazione. Dal background soprattutto televisivo, Harrison Jr. è una delle rivelazioni di quest'anno, alle prese con l'intricato vortice psicologico realizzato da Shults, Harrison Jr. incarna la paranoia, l'ossessione e la malinconia di un personaggio privato della propria adolescenza, conscio di essere stato profondamente segnato dal trauma della morte del nonno, e che non avrà alcun lieto fine. Muovendosi tra i corridoi di una casa avvolta dall'oscurità, con una sola lanterna a illuminarlo, in un'evidente metafora del percorso emotivo di ognuno dei protagonisti, la sua interpretazione è il collante dell'intera pellicola, che vanta un approccio notevolmente psicologico all'horror.
Dopo il meraviglioso Krisha, il giovane Trey Edward Shults passa a un genere totalmente opposto: l'horror. E se nel suo acclamato film d'esordio la protagonista era la più attempata Krisha Fairchild, qui il punto focale è il giovane protagonista Kelvin Harrison Jr., che veste i panni di Travis, il figlio di una coppia che si isola da un mondo dilaniato da un'imprecisata malattia, e si ritrova a fare i conti con un'altra coppia viandante nella loro medesima situazione. Dal background soprattutto televisivo, Harrison Jr. è una delle rivelazioni di quest'anno, alle prese con l'intricato vortice psicologico realizzato da Shults, Harrison Jr. incarna la paranoia, l'ossessione e la malinconia di un personaggio privato della propria adolescenza, conscio di essere stato profondamente segnato dal trauma della morte del nonno, e che non avrà alcun lieto fine. Muovendosi tra i corridoi di una casa avvolta dall'oscurità, con una sola lanterna a illuminarlo, in un'evidente metafora del percorso emotivo di ognuno dei protagonisti, la sua interpretazione è il collante dell'intera pellicola, che vanta un approccio notevolmente psicologico all'horror.
Susan Sarandon - Feud: Bette and Joan
Una lunga carriera alle sue spalle, eppure da Susan Sarandon in pochi si sarebbero aspettati un'immedesimazione tanto centrata per il personaggio di Bette Davis nella miniserie di Ryan Murphy, per sua sfortuna rimasta a bocca asciutta agli scorsi Emmy. Complice anche un ottimo trucco, la Sarandon non sfigura nel remake di Che fine ha fatto Baby Jane?, tiene testa a una titanica e maggiormente corteggiata dalla videocamera, Jessica Lange, e incarna lo spirito fiero, ma malinconico, della Davis. I gossip sono la pura linfa di Feud, in questa prima ispirata stagione, e proiettati nel retroscena della pellicola camp di Robert Aldrich, assistiamo a una continua lotta divistica tra la Crawford e la Davis, poi protratta anche fuori dal set, per finire in un epilogo colmo di rimpianti. Punto forte della performance della Sarandon è sicuramente la prima entrata in scena sul set con il costume da Baby Jane, con l'impagabile stupore di staff e della stessa Crawford, seguita dall'iconico inchino del macabro personaggio di Aldrich.
Robert Pattinson - Good Time
La corsa frenetica dei fratelli Safdie, raccontata in Good Time, non sarebbe nulla senza la presenza di Robert Pattinson. Così come la Stewart, anche lui a sofferto del marchio di una saga cinematografica di fin troppo successo di pubblico, ma allo stesso modo si è affrancato lavorando negli ultimi anni con alcuni dei più grandi autori del settore; Werner Herzog e David Cronenberg, giusto per citarne due. Già acclamato a Cannes, Pattinson impersona lo sfuggente ratto Connie Nikas, in una New York elettrizzante e caotica, alla sfrenata ricerca di una soluzione per la scarcerazione del fratello Nick, nell'Island prison a causa sua. Trasformista e camaleontico nel personaggio, Pattinson non si pone alcun limite, e completamente al servizio dei Safdie realizza la performance della sua carriera, che forse potrebbe fare da monito ad altri grandi nomi del cinema hollywoodiano.
Gwendoline Christie - Top of the Lake: China Girl
La Brienne de Il trono di spade, serie ben più blasonata di quella di Jane Campion, si ritrova affiancata tra un colosso del cinema e un'affermata interprete del piccolo schermo, senza sfigurare. Vestendo i panni di una goffa agente della polizia di Sydney, segue il terribile caso di omicidio di una donna cinese insieme alla detective Griffin, la sempre convincente Elisabeth Moss, ma fa a patti con i suoi stessi segreti. Vera e forse unica vena ironica di questa seconda stagione della serie australiana, la Christie sorprende e commuove molto più di quanto abbia fatto con la serie fantasy di enorme successo per la quale è divenuta celebre; rappresenta un importante tassello nel racconto della società moderna ad opera della Campion e Gerald Lee, e soprattutto negli ultimi episodi, il pubblico stabilisce una forte empatia con il suo personaggio.
Daniela Vega - Una donna fantastica
Molti articoli del settore enunciavano la Vega come possibile prima attrice transessuale a ricevere una nomination all'Oscar, ciò che forse non può accadere in un'edizione tanto competitiva come quella del 2018, resta in ogni caso un nome con cui fare i conti. Poiché, Daniela Vega offre una delle interpretazioni più autentiche dell'anno, per forza di cose, nell'interpretare un personaggio così tanto simile a sé stessa. Nel film di Sebastian Leilo infatti, veste i panni di una donna che, a seguito della morte del compagno, viene rifiutata e bersagliata dalla sua famiglia; la delicatezza e il rispetto nel racconto di Leilo, spesso trasognante, con un paio di sequenze estremamente vibranti, è indiscutibile, e nella Vega troviamo quel verismo che da un po' ci mancava. Sperando che si tratti solo di un inizio per l'attrice cilena, che è in partenza vincitrice, nell'abbattere le barriere del gender, ed essendosi resa portavoce di una pellicola dal messaggio rilevante.
Salma Hayek - Beatriz at Dinner
La tendenza di premiare performance riconducibili a determinati canoni di drammaticità, con l'esposizione del personaggio fino a un climax emotivo e la presenza di scene madri, sembra non passare mai nel circuito dei premi americani. Quando un'attrice quindi, specie in una pellicola indipendente, rende un ruolo tanto calibrato quanto quello di Salma Hayek, totalmente svestita dei suoi panni di femme fatale, l'essere ignorata dai premi potrebbe essere un fatto sia prevedibile sia ingiusto. Nel film di Miguel Arteta, dalla penna di Mike White, la Hayek interpreta una massaggiatrice, terapista, animalista e fortemente ambientalista, di origini messicane, che per una pura casualità si ritrova a cena con tre coppie tipiche della classe alto borghese americana, tra cui un magnate senza scrupoli, proprietario di una catena di alberghi. Nell'incalzante scontro tra classi sociali, condito da una sagace ironia, la Hayek spicca per la sua impersonificazione di Beatriz, quasi irriconoscibile, l'attrice scava in profondità nella psiche del personaggio e del suo bagaglio emotivo, regalando la miglior interpretazione della sua carriera, nettamente superiore alla Frida del biopic di Julie Taymor che le conferì la sua prima e unica nomination all'Oscar nel 2003.