31.12.17

Black Mirror - La recensione di tutti gli episodi della quarta stagione

Di Daniele Ambrosini

La nuova stagione del fenomeno televisivo Black Mirror è finalmente arrivata su Netflix e, come successo lo scorso anno, si prepara ad essere fonte di accese discussioni. Infatti la serie creata dalla contorta e brillante mente di Charlie Brooker è aperta ad aspre critiche quanto a grandi encomi da quando è arrivata sulla piattaforma streaming che secondo molti avrebbe cambiato radicalmente l'essenza e la qualità della serie imponendo al suo creatore un numero di episodi superiore a quelli che effettivamente avrebbe potuto realizzare al meglio. 

La nuova stagione è divisiva esattamente come la precedente, se non di più. Per la stagione tre si era deciso di osare, impartendo ad ogni puntata le caratteristiche di un preciso genere cinematografico,  impostazione parzialmente mantenuta anche quest'anno da Brooker che ha deciso di elaborare storie dal sapore differente facendo qualche incursione in precisi generi cinematografici ma facendo della rielaborazione di temi e tecnologie già note al suo pubblico il filo conduttore di questa stagione. Infatti molti episodi presentano elementi che allo spettatore di Black Mirror sembreranno familiari e se questo in un primo momento può sembrare segno di mancanza di idee, una volta giunti all'ultimo episodio si rivelerà invece essere il criterio adottato per l'intera stagione, il cui fine ultimo era quello di creare un universo condiviso targato Black Mirror in cui convergessero, anche solo a livello ideale, tutte le conoscenze pregresse dello spettatore. Analizzare temi e tecnologie simili secondo differenti filtri sia narrativi che interpretativi è un ottimo punto di partenza (o meglio, di ripartenza) per una serie a cui, ormai arrivata alla sua quarta stagione, non si richiede più di tirare in ballo una nuova e strabiliante tecnologia che potrebbe presto diventare realtà in ogni episodio, ma di analizzare le diverse implicazioni che la tecnologia in sé ha e può avere sulla comunità e sui singoli, adottando prospettive differenti con il fine di raggiungere un quadro più completo tanto della nostra società attuale, quanto di un'ipotetica società futura. Certo, non tutto brilla in questa stagione, ma checché se ne dica Black Mirror 4 contiene almeno un paio di gioiellini e nel suo complesso risulta essere una stagione piuttosto interessante.

USS Callister
La stagione non poteva iniziare in modo migliore, USS Callister è un episodio dalle premesse intriganti, dallo svolgimento inaspettato e dal finale ambiguo: è in pratica il perfetto biglietto da visita per una nuova stagione di Black Mirror. In questo episodio Jesse Plemons interpreta Robert Daly, programmatore frustrato e bistrattato, a capo di un'azienda dove nessuno riconosce la sua autorità, dove ogni giorno viene calpestato dal suo ben più carismatico socio in affari James Walton (Jimmi Simpson), noto per aver creato Infinity, videogioco online di grande successo. Daly, incapace di farsi valere nella vita reale ha creato una realtà alternativa - all'interno di una frazione di Infinity tenuta offline dove solo lui può accedere - nella quale crea copie digitali delle coscienze di alcune delle persone incontrate nella vita reale estrapolando il loro DNA ed inserendolo in un sistema che realizza delle nuove entità coscienti all'interno del videogioco, uguali in tutto e per tutto a quelle esistenti nel mondo reale. Il ribaltamento dei ruoli è al centro di USS Callister: da timido e simpatico perdente Daly si trasforma in sadico despota alla ricerca di una personale rivincita. La tecnologia che accende il lato più primitivo e selvaggio dell'uomo, segnando una regressione più che un progresso, la zona grigia della moralità e soprattutto la bruciante questione della coscienza delle entità digitali tengono banco in questo episodio denso di citazioni (Star Trek in primis) e dal grande gusto cinematografico che, in un finale agrodolce non mancherà di prospettare un'eventualità spaventosa quanto ambigua: la tecnologia che sovrasta l'uomo stesso come veicolo di moralità. 
VOTO: 8/10

Arkangel
In Arkangel una madre apprensiva (Rosemarie DeWitt) decide di far installare a sua figlia un impianto che le permette di rintracciarla in qualunque momento, di vedere quello che vede con i suoi occhi, di controllare i livelli di stress ed ansia e diminuirli applicando un blocco a cosa la figlia può e non può vedere. Il problema di Arkangel è quello di essere a tutti gli effetti un classico episodio di Black Mirror: è esattamente ciò che ti aspetti che una serie come questa potrebbe fare, è ampiamente prevedibile, ed è un peccato. Non che in sé l'episodio non risulti godibile, anzi, il tono da coming of age e l'inaspettata conseguenza del decadimento della tecnologia usata sono anche elementi interessanti e nuovi, ma in generale si respira aria di vecchio, tutto l'episodio attinge a piene mani da The Entire History of You, White Christmas e Men Aganinst Fire, combinando le tecnologie presenti in questi episodi per realizzarne una sintesi che, però, per quanto sia comunque interessante, risulta priva di mordente. Il tono leggero ed il finale poco incisivo poi non aiutano l'episodio a brillare.
VOTO: 6,5/10

Crocodile
In Crocodile Mia Nolan (una bravissima Andrea Riseborough) è un noto architetto dal passato oscuro che torna a tormentarla, infatti 15 anni prima il suo compagno aveva investito ed ucciso un ciclista e lei lo aveva aiutato a disfarsi del corpo. I due non si vedono da diversi anni quando lui si ripresenta da lei e dichiara di voler scrivere alla moglie della vittima per lasciarsi tutto alle spalle. Mia non può permetterlo perciò si sporcherà le mani di sangue più volte pur di non far emergere quel segreto del suo passato e tornare alla sua vita. Peccato che, avendo assistito ad un incidente stradale, sia costretta a sottoporsi ad un esame con un apparecchio che estrapola i ricordi. Crocodile è un ambizioso thriller che tramite una storia dagli echi shakespeariani imposta una intrigante riflessione sulla soggettività dei ricordi e ci regala uno dei personaggi psicologicamente più riusciti della serie. È interessante notare come in questo caso la tecnologia con la sua presenza invadente ed ossessiva rappresenti l'unico aspetto positivo della storia: è questa che, alla fine dell'episodio, garantisce la giustizia scavalcando l'uomo stesso. La tecnologia è causa scatenante ma anche risoluzione del caso osservato nell'episodio, è al di sopra della dubbia moralità e delle valutazioni meramente soggettive a cui tendono gli uomini. 
VOTO: 7,5/10

Georgina Campbell e Joe Cole in una scena di "Hang the DJ"

Hang the DJ
In un mondo dove è un sistema informatico a stabilire la durata delle relazioni con lo scopo di trovare l'anima gemella, si incontrano Amy (Georgina Campbell) e Frank (Joe Cole). Ai due vengono concesse solo 12 ore, un tempo insolitamente breve. Dopo un paio di relazioni disastrose i protagonisti hanno la possibilità di trascorrere altro tempo insieme ed iniziano a pensare di essere fatti l'uno per l'altra, tanto da voler scavalcare il sistema e fuggire insieme. Hang the DJ è l'erede spirituale di San Junipero di cui mantiene il tono leggero da dramma romantico ed un'intrinseca dolcezza che rende la (quasi impossibile) storia d'amore tra Frank e Amy davvero intensa. Anche in questo caso andiamo incontro ad un lieto fine, privo delle implicazioni tenebrose del finale di San Junipero, ma comunque non un lieto fine al 100%. Per una volta le conseguenze dell'uso smodato ed invadente della tecnologia sono distanti dal mondo reale e riguardano solo l'ambito delle possibilità. Queste conseguenze ricadono nuovamente su delle ignare copie digitali poste al servizio delle necessità dell'uomo che, in fin dei conti, non raggiungeranno mai davvero il loro tanto sperato lieto fine. Viene da chiedersi per quale coppia si sia davvero fatto il tifo dall'inizio dell'episodio perché lo spostamento dei piani ipotetico e reale causa un po' di sano spaesamento. La patina romantica e l'approccio apparentemente semplice alla storia potrebbero portare a pensare che Hang the DJ non abbia la forza espressiva del miglior Black Mirror, ma invece porta con sè, pur nella sua semplicità narrativa, un peso specifico non indifferente nell'economia della serie. Il finale sembra lineare ma in realtà nasconde un mondo di implicazioni e considerazioni, in parte nascoste dall'apparente risoluzione del finale e dal tono leggero dell'intero episodio. Per questo ci sentiamo di dire che Hang the DJ sia il miglior episodio della stagione.
VOTO: 8,5/10

Metalhead
In Metalhead troviamo per la prima volta in Black Mirror un mondo distopico in cui l'uomo deve lottare per la propria sopravvivenza, infatti in questo episodio, che presenta i tratti dell'horror e del survival movie, assistiamo alla fuga di una donna da un robot che tenta di ucciderla. L'episodio in sé è avvincente ed anche tecnicamente interessante, ma il desiderio di Brooker di non svelare assolutamente niente del mondo in cui ci troviamo alla lunga lo rende poco credibile e fa calare progressivamente l'interesse dello spettatore nei confronti di quell'universo narrativo. Infatti stranamente in Metalhead siamo messi di fronte ad un dato di fatto (dei robot a quattro zampe, detti "cani", rincorrono e uccidono gli umani) senza che ci venga fornita alcuna spiegazione: non ci viene fornita nessuna coordinata sul mondo alternativo nel quale ci troviamo, non sappiamo perché siamo giunti a quel punto e questo inevitabilmente crea un effetto di distanza tra lo spettatore e l'episodio che non favorisce affatto la visione, anzi. Per questo per quanto ritmato, l'episodio finisce per essere fine a sé stesso e particolarmente poco incisivo, e pensare che sarebbe bastato andare un po' più a fondo nel pregresso dell'episodio, con un prologo o qualche dialogo, per evitarlo, soprattutto considerando che con i suoi 38 minuti di durata Metalhead è l'episodio più breve di tutta la serie. Brooker ha preferito mantenere un'alone di mistero, che di per sé può essere una scelta interessante, ma lo ha fatto a scapito dell'episodio stesso che da questa scelta risulta impoverito, tanto da sembrare quasi superficiale.
VOTO: 6/10

Black Museum
In Black Museum assistiamo a tre diverse storie che prendono vita attraverso i racconti del proprietario di un misterioso museo degli orrori ad una giovane visitatrice, l'ultimo racconto poi avrà delle ripercussioni anche sul presente, offrendo un interessante plot twist. La prima cosa interessante da notare in questo episodio è che appena si mette piede nel museo si possono vedere in ogni angolo elementi di altri episodi di Black Mirror, da White Bear ad Arkangel, e man mano che i protagonisti parlano vengono tirate in ballo molte delle tecnologie utilizzate nella serie fino a questo momento, dando per esempio come pratica ormai consolidata il trasferimento delle coscienze degli anziani di San Junipero. Capiamo che ci troviamo in una linea temporale avanzata rispetto a quello a cui abbiamo assistito nelle stagioni precedenti e che, per la prima volta, siamo in un mondo in cui tutti questi elementi convivono insieme e non sono più separati, come la divisione antologica della serie sembrerebbe suggerire (siamo oltre il citazionismo di alcuni episodi del passato). Questo risulta fondamentale per comprendere l'intera stagione, ormai Brooker ha creato un universo tanto vasto da comprendere tecnologie simili con sviluppi ed utilizzi diversi che portano a storie e conflitti morali diversi, è questa la strada da seguire, non più l'originalità a tutti i costi (infondo l'unico episodio davvero originale della stagione, Metalhead, è anche il meno riuscito). Questo episodio ci permette di rileggere sotto questa chiave l'intera stagione. A conti fatti Black Museum è fondamentale nell'economia della serie in quanto offre questo spunto interpretativo ed in quanto tira un po' le fila di quello che Black Mirror è riuscito a costruire in questi anni. L'episodio in sè è carino, forse le storie proposte risultano un po' poco approfondite (soprattutto considerando il loro potenziale all'interno della serie) ma alla fine poco importa perché Black Museum è una grande giostra ad uso e consumo dello spettatore di Black Mirror che conferma come Brooker non abbia esaurito le idee, ma si stia solo muovendo in una direzione differente, che può piacere come non piacere.
VOTO: 7/10