I 10 migliori horror del 2017 in classifica

Di Gabriele La Spina

Un recente servizio fotografico del New York Times Magazine, diretto da Floria Sigismondi, fotografa e regista per serie come The Handmaid’s Tale e American Gods, ha soprannominato il 2017 come l’anno del cinema horror. Infatti l’evoluzione del genere, e il ritorno dell’horror d’autore, pilotata già da qualche anno con lavori di prim’ordine da Jennifer Kent, Robert Eggers David Robert Mitchell, ha avuto la sua fioritura quest’anno, dove però in molti casi il genere ha subito una reinvenzione.

Autori riconosciuti come Yorgos Lanthimos si sono prestati al genere con The Killing of a Sacred Deer, che in Italia non vedremo prima di aprile, insieme a Darren Aronofsky e David Lowery, che lo anno plasmato secondo il loro criterio. Il 2017 è però anche l’anno in cui gli horror torneranno agli Oscar, non solo per il comparto di trucco ed effetti speciale, ma in categorie principali tra cui miglior film, attore e sceneggiatura, grazie alla cocente satira di Jordan Peele.
In un anno come questo risulta difficile selezionare solo dieci film, eccellenze dell’horror, paradossale dirlo quando fino a qualche anno fa i titoli erano contabili sulle dita di una mano. Questi film, chi tradizionale e chi innovativo, sono tra i più indimenticabili nonché riconosciuti del 2017; da notare che non si tratti della classifica del più terrificante tra tutti, poiché l’obiettivo dell’horror non è e non è mai stato lo spavento; l’horror è un genere che riesce a scavare nelle psicologie di spettatori e personaggi stessi più di qualunque altro, più sfrenato e serio del fantasy, il suo scopo è di scuotere chi guarda, e di non abbandonarlo dopo la visione.

Bryan Cox ed Emile Hirsch in una scena di “Autopsy”
10. It
Attesissimo, il film dei record ovvero l’horror dall’incasso più alto della storia degli USA e del mondo, surclassando L’esorcista; l’adattamento del romanzo più amato di Stephen King è stato un centro per certi versi e una mancanza per altri. Andrés Muschietti è meritevole di aver confezionato un giocattolo scintillante, ma cupo, moderno se paragonato alla celebre miniserie del 1990, ma che scende in cliché forse obbligatori per un film ad alto budget del genere. Eppure impossibile non rendere nota a It, perché dopo aver letto le storie dei mitici protagonisti di Derry, tornare nella macabra cittadina inesistente del Maine, è un terribile piacere. Punto di forza assoluto, oltre la prestazione di Bill Skarsgard, un Pennywise fedelissimo nella caratterizzazione, allo stesso descritto da King nelle sue innumerevoli pagine, sono i giovanissimi protagonisti, alcuni nuove promesse del cinema americano, altri giuste incarnazioni di personaggi iconici della letteratura, non solo horror, ma anche di formazione, cui rappresentano i protagonisti del libro di King. 
9. Autopsy
Il film di André Øvredal, è quest’anno la prova tangibile che non serve un cast nutrito per la riuscita di un racconto, bastano due uomini (tra cui un grandioso Brian Cox), una fidanzata evanescente e ovviamente un cadavere. Il film racconta la storia dell’esperto medico legale Tommy Tilden e del figlio Austin, proprietari di una camera mortuaria e di un crematorio di famiglia in Virginia. Quando lo sceriffo locale porta loro un caso urgente relativo a un cadavere femminile dall’identità sconosciuta a cui è stato dato il soprannome di Jane Doe, padre e figlio si lasciano coinvolgere dalle scoperte che la loro autopsia porta spaventosamente alla luce. Perfettamente integro all’esterno, il cadavere di Jane Doe presenta lacerazioni interne che fanno sembrare la giovane donna vittima di una tortura rituale quanto misteriosa quanto orribile. Man mano che i Tilden mettono insieme i pezzi di un puzzle raccapricciante, una forza soprannaturale prende possesso del crematorio. Mentre all’esterno infuria una violenta tempesta, i due dovranno scontrarsi con l’orrore che regna all’interno dell’attività. Riuscitissima pellicola, che tra la tematica chirurgica che ricorda classici come Occhi senza volto, e l’aspetto demoniaco di altri come L’esorcista, immerge in un’atmosfera lugubre quanto ansiosa e impredicibile.
8. The Devil’s Candy
Non in pochi hanno definito l’heavy metal la musica del diavolo, ma paradossi a parte il regista australiano Sean Byrne ironizza fortemente sulla diceria, rendendo il frastuono della chitarra il leitmotiv del suo racconto, tra sacro e profano, tra arte pittorica e musicale. Alla base la più tipica delle storie: Jesse, un giovane artista, con la moglie Astrid e la figlia Zooey compra la casa dei suoi sogni, il cui prezzo è al ribasso a causa di un misterioso e oscuro passato. Tuttavia, le vite dei tre sono sconvolte quando i dipinti di Jake assumono una connotazione satanica e Ray, il figlio degli ex proprietari, matura un’ossessione per Zooey. Presto diventerà chiaro a tutti come Ray e Jesse siano entrambi influenzati dalle stesse forze oscure e come la famiglia dell’artista sia messa in pericolo da Ray o dal diavolo in persona. A volte soffocante, ma vibrante nelle sue immagini, The Devil’s Candy aggiunge qualcosa di nuovo al genere, con una forza inequivocabile e paragonabile a poche altre pellicole degli ultimi anni.
Una scena tratta da “Devil’s Candy”
7. Split
Dopo pellicole non proprio brillanti, scommesse perse e film anche incompresi, il regista dei twist finali per eccellenza, M. Night Shyamalan racconta le divisioni mentali di coloro che soffrono di disturbi dissociativi della personalità, argomento che ha a lungo affascinato ed eluso la scienza. Si ritiene che molte di esse possano garantire anche caratteristiche fisiche uniche per ogni personalità che si sviluppa in un unico essere umano. Sebbene Kevin abbia manifestato 23 diverse personalità alla sua psichiatra, la dottoressa Fletcher, solo una è quella dominante. Costretto a rapire tre adolescenti guidate dall’attenta Casey, Kevin mette in atto una guerra per la sopravvivenza tra tutti i Kevin che vivono in lui mentre intorno tutto il suo mondo cade a pezzi. Un titanico James McAvoy, e Anya Taylor-Joy, debuttante con gioiellino horror The Witch e forse destinata ad essere una stella di questo genere, sono alcuni dei punti di forza del quadrato racconto di Shyamalan, che stavolta non prepara un crescendo destinato al finale a sorpresa, ma pensa alla caratterizzazione minuziosa dei personaggi.
6. Annabelle 2
Esponente della saga più prolifica del settore, iniziata da James Wan, lo spin-off di The Conjuring, ma prequel di Annabelle, è l’horror vecchio stile immancabile in una classifica sul genere. Pur essendo vecchio stile, David F. Sandberg riesce a costruire una forte atmosfera, lugubre e creepy, degna dei classici più amati dell’horror. Nel film assistiamo agli eventi che interessano un fabbricante di bambole e sua moglie che, diversi anni dopo la tragica morte della loro bambina, accolgono in casa una suora e sei ragazzine provenienti da un orfanotrofio. Ben presto, tutti quanti diventeranno l’obiettivo di Annabelle, la demoniaca bambola che lo stesso fabbricante ha provveduto a creare. Anni luce distante dal trash di personaggi come Chucky, la bambola Annabelle ha una sua eleganza di fondo, e nonostante i preamboli sulla valenza dell’horror, non solamente mirato allo spavento, i jump scare più canonici riescono nel loro intento, e se si è alla ricerca dell’horror per saltare dalla poltrona, Annabelle 2 fa al caso vostro. 
5. Raw
La regista francese Julia Ducournau, nonostante una sceneggiatura non appropriatamente accurata, specie sullo sviluppo dei personaggi, ha creato una pellicola profondamente disturbante, su una pulsione quasi primordiale, ossessiva, e che porta a un continuo stato di tensione. Nella famiglia di Justine sono tutti veterinari e vegetariani. A sedici anni, Justine è una studentessa brillante e promettente ma, quando inizia la scuola di veterinaria, entra in un mondo decadente, spietato e pericolosamente seducente. Durante la prima settimana di riti iniziatori, si allontana disperatamente dai principi familiari e mangia carne cruda per la prima volta in vita sua. Presto, dovrà confrontarsi con le terribili e inaspettate conseguenze del gesto mentre la sua vera natura comincia venire a galla. Da alcuni definito eccessivo o addirittura alienante, Raw è un film con cui fare i conti: radicale, quasi assurdo, ma coinvolgente. Presto un cult.
Bradley Whitford e Catherine Keener in “Get Out”
4. Get Out
Grande sorpresa di quest’anno, svolta per la carriera dell’attore comico Jordan Peele, e finalmente rivalsa del cinema horror agli Oscar. Perché Get Out sarà con molta probabilità, ormai è quasi una certezza, tra i migliori film dell’anno scelti dall’Academy. Seguendo le vicende di Chris, un giovane afro-americano, e la fidanzata bianca Rose per cui è giunto il momento di conoscere i rispettivi genitori quando lei lo invita per un weekend nella sua tenuta di famiglia; assistiamo a uno spettacolo puramente satirico e allegorico. Dapprima Chris intravede nel comportamento eccessivamente accomodante dei genitori di Rose un tentativo nervoso di far fronte alla relazione interrazziale della figlia ma, man mano che il fine settimana procede, una serie di inquietanti scoperte lo portano a una verità che mai avrebbe potuto immaginare. Peele racconta il trattamento della comunità afroamericana, in un’America sempre e comunque fintamente progressista, perlomeno in parte, dove il razzismo è fortemente radicato nella sua cultura. Lo fa però sfottendo l’uomo bianco e mettendo in scena una situazione tanto sui generis, in una sceneggiatura fortemente ironica ma molto significativa, da essere una delle poche volte in cui l’horror ha una funzione simbolica, sociale e ovviamente di forte attualità.
3. A Ghost Story
Se c’è una pellicola che è stata capace di reinventare il genere, e raccontarlo in maniera completamente nuova e da una prospettiva unica, è quella di David Lowery. Con protagonisti Rooney Mara e Casey Affleck, i cui ruoli fanno più da cornice all’intero concetto visivo e narrativo di Lowery, che sembra richiamare ad alcune scene del cinema di Sofia Coppola, il film racconta il ciclo continuo di una storia d’amore, fino a dopo la morte. Infatti quando il protagonista maschile, nei primi minuti del film, perde la vita, prosegue sotto forma, estremamente vintage, di un fantasma che altro non è che un uomo sotto un lenzuolo con due fori per gli occhi. Torna nella sua dimora e assiste la donna che ha amato, per poi vedere l’arrivo di nuovi inquilini, e altri ancora, la sua demolizione, la costruzione di un cantiere, fino all’annientamento della vita stessa e della sua rinascita. L’aspetto dell’1.33 : 1 (un formato quadrato), dona maggiormente al film un’aura vintage, ma lo trasforma anche in una visione da assistere come di soppiatto, in silenzio, spiata dal buco di una serratura o dalla fessura di una porta. Lowery sembra celare un enorme mistero nel suo racconto, rielaborando gli elementi più tipici dell’horror e trasformando il suo in un film quasi senza genere. 
Una scena di “It Comes at Night”
2. It Comes at Night
Trey Edward Shults, che con il suo esordio con la pellicola Krisha aveva stupito la critica americana, torna realizzando un gioiellino del genere horror post-apocalittico, rigorosamente a basso budget, e come il suo primo film, fortemente radicato nella psicologia del personaggio. Se in Krisha il realismo padroneggiava soprattutto per la scelta di attori non professionisti, in It Comes at Night, Shults ha a sua disposizione dei grandiosi interpreti, come Joel Edgerton, Carmen Ejogo, ma soprattutto il giovane Kelvin Harrison Jr., vera sorpresa della pellicola. Qui assistiamo alle vicende di una famiglia rifugiata in una casa di montagna, senza luce, oltre quella delle lanterne da campeggio, costretta all’esilio a causa di un virus che ha dilaniato l’umanità. Quasi scontato immaginare che prima o poi qualcuno avrebbe bussato alla loro porta ribaltando il loro equilibrio già precario. La tematica però è soltanto un pretesto nella raffinata sceneggiatura di Shults, dove il protagonista Travis, sofferente di insonnia, traumatizzato dalla morte del nonno e fortemente impaurito di seguire il medesimo destino, si muove tra le buie mura della casa quasi nella dimensione di un sogno. Sempre in bilico tra reale e irreale Shults rompe l’incantesimo da lui stesso creato alla fine della pellicola, esponendo con crudeltà ciò di cui è capace la natura umana, per la sopravvivenza o per il suo ego?
Jennifer Lawrence in una scena di “Madre!”
1. Madre!
Bistrattato, fischiato e forse incompreso al Festival di Venezia, Madre! è l’opera più coraggiosa di Darren Aronofsky e per questo più apprezzabile. Se con Il cigno nero aveva conquistato con atmosfere cupe e il bipolarismo della sua protagonista, nel film che vede Jennifer Lawrence come protagonista, tutto si sposta a un altro livello. Impossibile leggere Madre! come un semplice racconto, non si tratta soltanto della storia di un poeta e della sua apprensiva moglie, la cui vita viene pian piano sconvolta da due molesti invasori e seguiti da orde di fanatici dell’ultima poesia del patriarca della casa. Ormai noto dalle dichiarazioni di Aronofsky e dalle molteplici chiavi di lettura pubblicate da ogni testata, indice del processo creativo che la stessa pellicola ha innescato in ogni spettatore, dando vita alla discussione, un aspetto a cui pochi film possono ambire, Madre! ha un significato in parte ecologista e in parte religioso. La regia ossessiva di Aronofsky non manca anche in questo lavoro, dove ogni minimo particolare ha un preciso simbolismo, tant’è che la pellicola necessiterebbe più e più visioni per essere colta nella sua pienezza, così come ognuno di noi ha fatto per decifrare al meglio il capolavoro Mulholland Drive di David Lynch. Dalle pulsazioni nella parete di casa, a squarci sanguinanti nel parquet, tutto prende vita e tutto è destinato a estinguersi inesorabilmente. Già dal marketing accostato al classico del genere Rosemary’s Baby di Roman Polanski, non è un sacrilegio dire che Aronofsky osa molto di più, non solo regalandoci uno dei finali più sconvolgenti del cinema horror e non, ma realizzando un tour de force visivo che è un fardello per lo spettatore, che senza mezzi termini amerà o odierà la pellicola, ma indubbiamente non ne rimarrà indifferente.

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