13.3.18

Annientamento - La recensione del film di Alex Garland con Natalie Portman

Di Gabriele La Spina

Era il 2014 quando lo sconosciuto Alex Garland, che poco ha a che fare con la leggendaria Judy ma che è piuttosto il figlio del cartoonist Nick Garland, esordiva alla regia con Ex Machina, pellicola di stampo sci-fi dell'ancora poco rodata A24. Con il suo piccolo film, dal cast ridottissimo, Garland torna a dare nuova giustificazione al genere fantascientifico, con gli anni usurato, e riesce in ciò che nemmeno colleghi più navigati come Ridley Scott e Steven Spielberg, riescono più a fare rielaborare una tematica in modo intelligente.

Dopotutto Ex Machina viveva della citazione di uno dei personaggi più iconici del cinema di fantascienza, ovvero HAL 9000, inquietante supercomputer di 2001: Odissea nello spazio (1968), capolavoro indiscusso di Stanley Kubrick, un maestro del cinema che ha influenzato generazioni di filmmaker e continua tutt'oggi. L'elaborazione di quell'elemento tanto ricordato del film di Kubrick, è per Garland una versione ben più sentimentale, con le sembianze seducenti di Alicia Vikander, e dalla lettura filosofica ben più attualizzata; in Ex Machina si parla d'altronde dello sviluppo tecnologico a discapito delle relazioni umane. Similmente accade in Annientamento

Nel suo nuovo film, approdato su Netflix in gran parte del globo, Garland attinge ancora una volta a degli elementi del capolavoro kubrickiano, il che testimonia inutilmente quanto il leggendario regista sia riuscito a creare in una sola pellicola un universo a sé, straripante di significati. In questo caso la tematica è però quella della creazione. Il film si apre con la caduta di un meteora su un faro, in un luogo imprecisato che conosceremo solo come Area X. Un gruppo di studiosi si concentreranno sull'accaduto, ma l'efficacia della sceneggiatura di Garland sta nel dosaggio e nel raccontare gli eventi da una prospettiva che permette la totale immersione nell'esperienza. Perché se Garland è stato elogiato fin dal suo esordio per la capacità di creare atmosfere efficaci, va considerato suo vero pregio la precisione nella scrittura. Dopotutto parliamo di uno scrittore, suoi i romanzi "L'ultima spiaggia" (poi adattato da Danny Boyle per il grande schermo) e "Black Dog", rubato dal cinema, due volte sceneggiatore per Boyle e per Mark Romanek. Vediamo così Lena, soffrire per la sparizione del marito da quasi un anno, e venire stravolta dal suo ritorno che la condurrà all'Area X, dove verrà coinvolta in una spedizione dove ricostruirà, e insieme a lei anche noi, ogni passo compiuto dal marito in quell'anno lontano da lei. Come una coltre, luminosa e psichedelica, un energia aliena ricopre la zona della spedizione a cui partecipano un gruppo di donne con nulla da perdere, desiderose di una rinascita, ciò che è poi il vero incipit di Annientamento: annullare sé stessi per rinascere. 

Natalie Portman e Oscar Isaac in una scena del film.

Similmente alla serie Lost, e al celebre Jurassic Park di Spielberg, il film di Garland gioca sulla genetica, ci mostra delle creature fantasiose, seppur dalla pessima CGI, che fanno soltanto da cornice a un'atmosfera in bilico tra luce abbagliante, e buio soffocante, con paesaggi tra il rigoglioso e il desertico. Ma è quando il film giunge verso la sua fase finale, che arriva al suo picco immaginifico, dove la protagonista Lena, interpretata da un'intensa e sempre impeccabile Natalie Portman, si ritrova faccia a faccia con l'origine di tutto. E se ogni spiegazione è stata dosata da Garland finora, si da adesso spazio a una libera interpretazione. Lena assiste alla creazione della vita, in una sequenza delle più belle viste finora su piccolo e grande schermo, e conosce quell'entità tra l'alieno e l'ultraterreno, tanto simile alla creatura vista in Under the Skin di Jonathan Glazer, ma perfetta per il suo scopo. Il film si conclude con un finale aperto, enigmatico, che lascia spazio a ogni interpretazione: un abbraccio, uno sguardo che suggerisce un sinistro epilogo come nel vecchio cinema del genere, lasciando forse la strada spianata per dei possibile sequel, che porterebbero Garland a continuare l'adattamento dei romanzi Jeffrey Scott VanderMeer, autore della Trilogia dell'Area X. Potrebbe dare così forse maggiormente valore a quella parabola sull'esistenza, perpetuata fin dal suo film d'esordio, e spinta con Annientamento su livelli più estremi, osando forse molto più di pellicole come Arrival di Denis Villeneuve, il cui leitmotiv è il linguaggio mentre qui è la genetica.  

Creare oggi un film sci-fi che abbia senso di esistere, in un periodo in cui serie antologiche come Black Mirror riescono a raggruppare numerose idee e storie (come un tempo faceva Twilight Zone), in quelli che sono a tutti gli effetti mini film dalla miglior fruibilità, è dura. Ma l'importanza di ciò che fa Garland non è nel rappresentare una storia originale, il cui epicentro è un twist finale o mirabolanti scene d'azione, bensì nel suo modus operandi. L'eleganza e la minuziosità della sua regia, pensando alla scena in cui le mani dei due protagonisti vengono inquadrate attraverso un bicchiere d'acqua, quasi fondendosi, in un certo senso già easter egg sullo svolgimento del film; e nonostante una caratterizzazione dei personaggi a volte approssimativa, la solidità della sua sceneggiatura, rendono Garland uno degli autori più interessanti del panorama contemporaneo, e Annientamento uno dei migliori film presenti attualmente su Netflix.

VOTO: 9/10