9.4.18

Io sono tempesta - La recensione della commedia di Daniele Luchetti con Marco Giallini e Elio Germano

Di Simone Fabriziani

Numa Tempesta (Marco Giallini) è un finanziere che gestisce un fondo da un miliardo e mezzo di euro e abita da solo nel suo immenso grand hotel deserto, pieno di letti in cui lui non riesce a chiudere occhio. Tempesta ha soldi, carisma, fiuto per gli affari e pochi scrupoli. Un giorno la legge gli presenta il conto: a causa di una vecchia condanna per evasione fiscale dovrà scontare un anno di pena ai servizi sociali in un centro di accoglienza. E, così, il potente Numa dovrà mettersi a disposizione di chi non ha nulla, degli ultimi. Tra questi c'è Bruno (Elio Germano), un giovane padre che frequenta il centro con il figlio, in seguito ad un tracollo economico. L'incontro sembrerebbe offrire ad entrambi l'occasione per una rinascita all'insegna dei buoni sentimenti e dell'amicizia. Ma c'è il denaro di mezzo e un gruppo di senzatetto che, tra morale e denaro, tenderà a preferire il denaro.
I drammi della cronaca italiana si mescolano agi stilemi dell'opera buffa nell'ultima commedia scritta e diretta da Daniele Luchetti (Mio fratello è figlio unico, La nostra vita), grande erede della commedia all'italiana nel suo senso più sociale e nobilitante. Non solo storia di miseria e nobiltà di una Italia contemporanea al lastrico in fila ai centri sociali per vitto ed alloggio, ma vero e proprio pamphlet dai toni ironici e satirici sulla diseguaglianza identitaria e sui meccanismi psicologici del valore del denaro, sempre fluttuante e in continua trasformazione al trasformarsi stesso dell'assetto e delle difficoltà economiche del Paese.

Se il braccio di ferro ideologico tra il ricchissimo Numa (uno straordinario Marco Giallini, maschera privilegiata del cinema nostrano di oggi) e il povero Bruno (il simpatetico Elio Germano) si risolve in un gioco di inghippi finanziari ed economici in cui la ruota della fortuna si consolida in un tira e molla tra l'avaro inamovibile di ispirazione teatrale e la classe dei poveri, anime miserabili furbe e senza compromessi; la ruota girerà anche per loro in un ideale rilettura del Don Giovanni di mozartiana memoria. Chi è il cattivo? Chi il buono? Chi il miserabile e il puro di animo?
Un'opera cinematografica sul filo dell'ironia e della leggerezza nel racconto che profuma però di irreparabile grigiore, di confini labili tra bene e male, tra giusto e sbagliato, tra una nuova Italia accattona e un Paese che, pur nel ritardo improrogabile dei suoi pochi servizi di assistenza sociale, non si arrende ad abbassare il capo alla disgrazia.

VOTO: 7/10