Hereditary – Le radici del male – La recensione dell’acclamato horror con Toni Collette

Di Simone Fabriziani

Primo lungometraggio dietro la macchina da presa per il giovane regista e sceneggiatore Ari Aster, arriva finalmente nelle sale italiane mercoledì 25 luglio l’horror Hereditary – Le radici del male, titolo unanimemente acclamato dalla critica statunitense all’ultimo Sundance Film Festival, meno dal pubblico generalista. Nella tradizione del grande horror psicologico dell’ultima ondata, Hereditary sovverte ogni aspettativa e costruisce un intelligente omaggio ai vicoli e alle strade già battute dal cinema passato sul fare e ripensare il genere horror stesso.


Il film di esordio di Ari Aster è il racconto della sinistra eredita che riceve la famiglia di Ellen, matriarca che ha da sempre nascosto terrificanti segreti sulla loro stirpe. Famiglia apparentemente normale, i Graham reagiscono alla morte della donna ognuno in maniera molto diversa;a partire dalla sinistra figlioletta Charlie, la discesa verso la paranoia e la destabilizzazione di tutti i membri della famiglia Graham si risolverà nel modo più inaspettato e terrificante.
Come ogni grande film del brivido che si rispetti, Hereditary può essere visto ed analizzato attraverso il suo significante e il suo significato ed il notevole film di Aster ne sfrutta a pieno le duplici potenzialità con intelligenza e lucidità.

Attento ed arguto debitore di elementi e situazioni di titoli recenti come Babadook e The Witch e di vecchi capolavori del genere come L’esorcista e Rosemary’s Baby, Hereditary fa coscienziosamente tesoro delle lezioni impartitegli dal passato per orchestrare un plumbeo e solenne ritratto di una famiglia in frantumi, impotente nei confronti delle forze e delle entità che stanno tentando di distruggerla progressivamente dall’interno.

Più vicino alla fredda sensibilità del cinema nordeuropeo che alla sterile riproposizione di stilemi cari al genere orrorifico, Hereditary si attornia di un cast di prim’ordine (e un plauso va alla piccola Milly Shapiro e al giovane tormentato Alex Wolff) capitanato da una rigorosa e fragile Toni Collette, anima nera di un altrettanto nero teatrini di burattini legati ad un filo invisibile nelle mani di un fato soprannaturale ed agghiacciante. Un gelido e puntiglioso ritratto in frantumi che eredita con precisione e sensibilità verso le psicologie dei suoi protagonisti il meglio del cinema di genere nuovo e passato, senza mai tradire l’ispirazione né scimmiottarla. Il risultato è una sorprendente riflessione sul lutto e sul senso di perdita all’interno di un nucleo famigliare maledetto da una eredità al di sopra di ogni umana concezione. Forse, un classico a venire.

VOTO: 8/10