Westworld – La recensione della seconda stagione della serie targata HBO

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Di Simone Fabriziani

Se vi chiedevate cosa fosse accaduto al terminare della seconda stagione di Westworld, questa è la lettura sbagliata, perché qui di seguito non troverete teorie o approssimati spiegoni sulla intricatissima serie creata da Jonathan Nolan e Lisa Joy, questa sera giunta alla sua seconda conclusione nel suo episodio finale doppiato in lingua italiana.

Quello che invece cercheremo qui di fare è analizzare in breve quali sono state le ragioni di un repentino jump of the shark (letteralmente “il salto dello squalo”) in negativo nel rispetto degli avvenimenti della prima stagione che aveva debuttato con enorme successo di pubblico e critica alla fine del 2016. Il termine gergale del saltare lo squalo viene rinomatamente utilizzato nel linguaggio americano per sottolineare il momento in cui una serie televisiva utilizza un espediente narrativo che non solo cambia drasticamente gli eventi del racconto, ma che lo cambia irrimediabilmente in peggio. Il salto dello squalo della serie fantascientifica targata HBO ed ispirata al film omonimo del 1973 di Michael Crichton è già accaduto al termine della prima, gloriosa stagione.

Tralasciando completamente tutti i principali snodi narrativi del secondo, complesso gioco ad incastro narrativo andato in onda in queste ultime settimane, Westworld stagione 2 rimpolpa ed enfatizza tutto ciò che aveva egregiamente funzionato nei primi dieci episodi andati in onda nel 2016 amplificandone però le sue crepe e le sue (evidenti) limitazioni. La affascinante ma labirintica dicotomia etica tra coscienza umana e (nuovo) intelletto androide perde qui di spessore quando Nolan e Joy decidono di santificare un’intera nuova stagione televisiva sul piacere intrinseco della macchinazione degli ingranaggi narrativi che, ben oliati nel primo capitolo dedicato al piccolo schermo, qui rischiano in più di un’occasione di superare in astuzia le stesse ragioni d’essere del progetto Westworld.
Sfacciatamente ingarbugliato, volontariamente indigeribile per l’enorme quantità di plot twist che inzuppano tutti e dieci gli episodi della nuova stagione, il nuovo parco di divertimenti creato da Crichton e rimaneggiato dalla coppia Nolan e Joy apre le porte ad una, possibilmente, terza stagione dalle dinamiche manichee interessanti, ma che già sembra aver esaurito le cose da dire, raccontare, professare, sacrificate inesorabilmente all’altare del punto di maggior forza contenutistica che avevo fatto la fortuna nel 2016. Rimane dunque l’amarezza in bocca di aver assistito ad un gran spettacolo tecnico (memorabile il commento musicale di Ramin Djawadi) sterile ma tuttavia impreziosito da un cast di purosangue capitanati dai volti enigmatici di Evan Rachel Wood, Jeffrey Wright, Thandie Newton, Ed Harris e il premio Oscar Anthony Hopkins.
VOTO: 6/10