Di Giuseppe Fadda
L’impronta lasciata da Ingrid Bergman nell’immaginario collettivo e nella storia del cinema è innegabile. La sua bellezza delicata, la sua eleganza innata e la sua incredibile presenza scenica la rendono a pieno titolo una delle figure più affascinanti e carismatiche della Hollywood classica. Eppure, la Bergman non può essere incasellata del tutto nella categoria delle star hollywoodiane.
In realtà, non può essere incasellata proprio in nessuna categoria: una donna tanto libera nella sua vita quanto nella sua carriera, Ingrid Bergman non può essere paragonata a nessun’altra attrice a lei contemporanea ed è proprio per questo motivo che la sua fama è immortale. Pur essendo pienamente inserita nel panorama cinematografico americano, non rinunciò mai alle sue radici europee e non si omologò mai alle regole imposte dallo star system. Le sue interpretazioni riuscivano a fondere la classe e la raffinatezza di Hollywood con un tocco di autenticità tutto europeo. Fu una delle prime persone a smentire il preconcetto secondo cui una diva non può essere una grande attrice, e viceversa. La sua intraprendenza artistica, che la portò a lavorare con alcuni dei più grandi registi di tutto il mondo, resta d’esempio per tutte le attrici di oggi.
L’impronta lasciata da Ingrid Bergman nell’immaginario collettivo e nella storia del cinema è innegabile. La sua bellezza delicata, la sua eleganza innata e la sua incredibile presenza scenica la rendono a pieno titolo una delle figure più affascinanti e carismatiche della Hollywood classica. Eppure, la Bergman non può essere incasellata del tutto nella categoria delle star hollywoodiane.
In realtà, non può essere incasellata proprio in nessuna categoria: una donna tanto libera nella sua vita quanto nella sua carriera, Ingrid Bergman non può essere paragonata a nessun’altra attrice a lei contemporanea ed è proprio per questo motivo che la sua fama è immortale. Pur essendo pienamente inserita nel panorama cinematografico americano, non rinunciò mai alle sue radici europee e non si omologò mai alle regole imposte dallo star system. Le sue interpretazioni riuscivano a fondere la classe e la raffinatezza di Hollywood con un tocco di autenticità tutto europeo. Fu una delle prime persone a smentire il preconcetto secondo cui una diva non può essere una grande attrice, e viceversa. La sua intraprendenza artistica, che la portò a lavorare con alcuni dei più grandi registi di tutto il mondo, resta d’esempio per tutte le attrici di oggi.
Nata il 29 agosto 1915 a Stoccolma,
la Bergman esordì al cinema nel 1935
con Il conte della città vecchia. In
soli quattro anni, divenne una delle attrici più importanti del cinema svedese.
La sua fama attirò l’attenzione del produttore David O. Selznick, che le offrì di
recitare in Intermezzo, remake
americano di un film svedese di cui la Bergman
era stata protagonista. Già da subito si distinse a Hollywood per il suo
rifiuto a piegarsi alla volontà dei grandi produttori: si rifiutò di cambiare
il suo nome e di sottoporsi a cambiamenti estetici. Si dimostrò invece pronta a
tutto pur di poter interpretare una parte in maniera convincente: quando
ottenne il ruolo di Maria nella trasposizione cinematografica di Per chi suona la campana di Ernest
Hemingway, non solo non esitò a tagliarsi i capelli, ma arrivò a dire: “Per
questa ruolo, mi sarei anche fatta tagliare la testa!”. Lo stesso anno prese
parte all’indimenticabile Casablanca,
film con cui arrivò la sua consacrazione definitiva. Alla cerimonia del 1944, Casablanca vinse 3 Premi Oscar tra cui
miglior film e la Bergman ricevette
la sua prima nomination per Per chi
suona la campana. L’anno seguente, vinse l’Oscar per Angoscia di George Cukor. Negli
anni seguenti, lavorò con Alfred
Hitchcock in Io ti salverò, Notorius – L’amante perduta e Il peccato di Lady Considine, mentre
ottenne ulteriori candidature agli Oscar con Le campane di Santa Maria e Giovanna
d’Arco. Nel 1949, decise di andare in Italia per lavorare con Roberto Rossellini in Stromboli (Terra di Dio). La Bergman, pur essendo ancora sposata con
il medico Peter Lindstrom, intraprese una relazione con il regista: la stampa americana
perbenista la definì “l’apostolo della degradazione di Hollywood”, avviando una
pesante campagna denigratoria nei suoi confronti. Ma se Hollywood le aveva
voltato le spalle, l’attrice non si fece certo scoraggiare: sposò Rossellini e collaborò
con lui in alcuni dei più grandi capolavori del neorealismo italiano, tra cui Viaggio in Italia ed Europa ’51.
Nel 1956, mentre il suo rapporto con Rossellini entra in crisi, la Bergman fece il suo ritorno trionfale a Hollywood con Anastasia di Anatole Litvak, film che le portò il suo secondo Oscar. Da questo momento, continuò a lavorare sia in film americani che europei. Alla cerimonia del 1975, vinse il suo terzo Oscar per la sua interpretazione in Assassinio sull’Orient Express di Sidney Lumet: il suo discorso fece storia per l’umiltà dell’attrice che dichiarò pubblicamente che il premio sarebbe dovuto andare a Valentina Cortese per la sua performance in Effetto notte di François Truffaut. Il suo ultimo ruolo fu in Sinfonia d’autunno (1978), sotto la regia del grandissimo Ingmar Bergman, per cui l’attrice riceve la sua settima e ultima nomination all’Oscar. Morì il giorno del suo 67esimo compleanno a Londra, nel 1982, lasciando dietro sé una carriera costellata da ruoli indimenticabili. Oggi, a 36 anni dalla sua morte, ricordiamo le sue più grandi interpretazioni.
Nel 1956, mentre il suo rapporto con Rossellini entra in crisi, la Bergman fece il suo ritorno trionfale a Hollywood con Anastasia di Anatole Litvak, film che le portò il suo secondo Oscar. Da questo momento, continuò a lavorare sia in film americani che europei. Alla cerimonia del 1975, vinse il suo terzo Oscar per la sua interpretazione in Assassinio sull’Orient Express di Sidney Lumet: il suo discorso fece storia per l’umiltà dell’attrice che dichiarò pubblicamente che il premio sarebbe dovuto andare a Valentina Cortese per la sua performance in Effetto notte di François Truffaut. Il suo ultimo ruolo fu in Sinfonia d’autunno (1978), sotto la regia del grandissimo Ingmar Bergman, per cui l’attrice riceve la sua settima e ultima nomination all’Oscar. Morì il giorno del suo 67esimo compleanno a Londra, nel 1982, lasciando dietro sé una carriera costellata da ruoli indimenticabili. Oggi, a 36 anni dalla sua morte, ricordiamo le sue più grandi interpretazioni.
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Ingrid Bergman in "Casablanca"
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Casablanca (1942) di Michael Curtiz
Un film che, considerando le sue premesse, avrebbe
dovuto essere un clamoroso fallimento: la lavorazione fu travagliata e faticosa
e la sceneggiatura fu cambiata numerose volte nel corso della produzione.
Eppure, miracolosamente, il risultato fu uno dei più grandi film della storia
del cinema, un devastante ritratto dell’occupazione tedesca nella Seconda Guerra
Mondiale, un’acuta riflessione sul patriottismo e sul senso del dovere e una
leggendaria storia d’amore. Ingrid
Bergman non solo è talmente luminosa da riempire lo schermo, ma rende la
sua Ilsa una grande eroina tragica: porta il giusto pathos al dilemma interiore
della donna, rendendo coinvolgente e appassionante un personaggio che un’altra attrice
avrebbe reso statico e passivo. E quello che riesce a creare sullo schermo con Humphrey
Bogart è qualcosa di magico: i due
attori lavorano insieme con una sintonia e un’armonia tali da giustificare la
reputazione del film come la love story per
eccellenza.
Angoscia (1944) di George Cukor
Un thriller atmosferico e
sottovalutato, Angoscia narra la
storia di una giovane donna che eredita i gioielli della zia, una cantante d’opera
brutalmente assassinata. La donna incontra un affascinante pianista (un
bravissimo Charles Boyer), che sposa dopo un breve corteggiamento: ma poco dopo
il matrimonio, comincia a temere per la sua sanità mentale e diventa sempre più
paranoica e instabile. Sta davvero impazzendo o è una vittima delle
macchinazioni del marito, che sembra nascondere qualcosa? La Bergman inizialmente esitò ad accettare
la parte: essendo una donna notoriamente forte e indipendente, non era sicura
di essere in grado di interpretare un personaggio così fragile. Lo fece, e
negli anni successivi dichiarò di considerare la sua interpretazione in Angoscia uno dei suoi più grandi trionfi,
e giustamente. Infatti, l’attrice è eccezionale nel trasmettere la crescente
inquietudine del personaggio e la sua evoluzione da giovane ingenua a donna
devastata che lotta per conservare la sua lucidità. La Bergman non solo è credibile nella parte ma anche profondamente
disturbante. Tra le tre interpretazioni dell’attrice premiate con l’Oscar, è di
gran lunga la migliore.
Le campane di Santa Maria (1945) di Leo McCarey
Sequel del film Premio Oscar La mia via, Le campane di Santa Maria è lontano dall’essere un gran film, ma
resta una visione gradevole nella sua leggerezza. Ciò che davvero eleva il film
è l’interpretazione della Bergman nel
ruolo di Suor Maria Benedetta, preside di una scuola cattolica i cui metodi educativi
entrano in conflitto con quelli del giovane parroco Chuck O’Malley (un
carismatico Bing Crosby). Non è una parte particolarmente complessa, ma l’attrice
riesce a rendere la sua semplicità proprio il suo punto di forza. È un’interpretazione
dolce e sincera: la Bergman ci fa
affezionare al personaggio tanto che, quando la sua storyline prende una piega inaspettatamente
tragica, arriva a commuoverci in maniera sorprendentemente profonda. La scena
dell’umile supplica della suora a Dio verso la fine del film, nella sua
innocenza e semplicità, è uno dei momenti più intimi e toccanti della sua
carriera.
Notorius – L’amante perduta (1946) di Alfred Hitchcock
Dopo Joan Fontaine e prima di Grace
Kelly, fu Ingrid Bergman la musa
di Alfred Hitchcock. Notorius – L’amante perduta è la loro
collaborazione più importante, e il ruolo di Alicia Huberman è uno dei più grandi
della carriera dell’attrice. Alicia è la figlia di una spia nazista, che per
redimere i crimini del padre decide di collaborare con l’FBI per smascherare un
complotto filonazista in Brasile. La Bergman
sorregge il film con il suo magnifico ritratto di una donna combattuta e
tormentata: è un’interpretazione sorprendentemente minimalista e l’attrice rivela
il tumulto emotivo dell’attrice con il suo sguardo sofferente, stanco ma
determinato. Le sue scene con Cary Grant
sono cariche di un erotismo insolito per i film dell’epoca, ma ancora più
interessanti sono le sue scene con Claude
Rains, in cui l’attrice rivela il disprezzo misto a compassione di Alicia per
il criminale nazista che deve incastrare ma che la ama sinceramente. È un
personaggio pieno di sfumature e la Bergman
le ritrae tutte sullo schermo con la sua grande interpretazione.
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Ingrid Bergman in "Europa '51"
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Europa ’51 (1952) di Roberto Rossellini
Capolavoro del neorealismo italiano, segue la storia di
una donna borghese che, dopo la morte del figlio, entra lentamente in contatto con le difficoltà della
classe operaia e che finisce per rinunciare ai suoi privilegi pur di dare il
suo contributo nella lotta contro l’ingiustizia. Coerentemente con lo stile del
film, l’interpretazione della Bergman
è completamente priva dei manierismi della recitazione hollywoodiana. Il suo è
un ritratto vivido e vero quasi del tutto privo di scene madri: il suo
personaggio è in larga parte reazionario ma l’attrice riesce a comunicare la
sua evoluzione e il suo sviluppo di una coscienza sociale in maniera sottile e
quasi impercettibile. È un’interpretazione empatica e profonda che ci ispira e
ci commuove.
Fiore di cactus (1969) di Gene
Saks
Prima di Fiore di cactus, la Bergman si
era raramente cimentata in ruoli puramente comici. Al fianco di un gigante della
commedia come Walter Matthau e di Goldie Hawn in una performance premiata
con l’Oscar, la Bergman avrebbe
potuto trovarsi in difficoltà. Invece, regala un’interpretazione splendida e si
rivela perfettamente a suo agio in un genere così fuori dal comune per lei. Nel
ruolo della sarcastica ma vulnerabile segretaria Stephanie, la Bergman è divertente proprio perché
sembra divertirsi nell’interpretare il ruolo: è una performance rilassata,
spontanea, bella proprio perché non si prende sul serio. In una carriera così
ricca di ruoli tragici, questo film è una ventata di freschezza e in esso la Bergman dimostra la sua versatilità e
il suo inaspettatamente brillante tempismo comico.
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Ingrid Bergman in "Sinfonia d'autunno"
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Sinfonia d’autunno (1978) di Ingmar
Bergman
Rappresenta l’unica collaborazione tra Ingrid Bergman e il regista Ingmar Bergman. È l’ultima
interpretazione cinematografica dell’attrice ed è un vero e proprio canto del
cigno con cui l’attrice dice addio al cinema regalando un ritratto viscerale e
indelebile. La Bergman interpreta
Charlotte, una pianista di fama internazionale che torna a casa per rincontrare
le sue due figlie: Eva, una donna insicura che vive nell’ombra della madre, ed
Helena, affetta da grave disabilità. L’attrice offre un ritratto brutale di una
madre ingombrante, intransigente nei confronti degli altri e indulgente nei
confronti di sé stessa, pronta a condannare le colpe degli altri ma incapace di
ammettere e affrontare le proprie. La Bergman
e la sua co-star Liv Ullmann ingaggiano
un duello sublime di recitazione mentre ritraggono la lite furente tra queste
donne che si accusano a vicenda e rivelano le loro ferite mai rimarginate. La Bergman non tenta in nessun modo di alleviare
le colpe del suo personaggio o di renderlo più simpatico per lo spettatore: è
un ritratto onesto e veritiero di una donna egoista, che rivendica la sua
sofferenza senza provare a comprendere quelle che ha inferto agli altri. Alla
fine del film, il regista inquadra in un primo piano il volto della Bergman, il cui sguardo è diretto verso
lo spettatore: in questi pochi secondi, è evidente più che mai la sua potenza
espressiva. Ed è proprio con quest’immagine straziante che cala il sipario non
solo sul film ma sull’intera carriera di questa meravigliosa attrice.