28.8.18

Don't Worry - La recensione del biopic di Gus Van Sant con Joaquin Phoenix

Di Massimo Vozza

Negli anni Novanta Gus Van Sant ha segnato il cinema indie americano ma è stato solo dal 1997, inizialmente con Good Will Hunting, poi con Elephant e Paranoid Park e infine con Milk nel 2008, che la sua carriera ha raggiunto l’apice; adesso, dopo un altro decennio, il cineasta torna ad arricchire la sua filmografia con un altro biopic di buona fattura e atipico ma che, cinematograficamente parlando, non riesce però a rilanciarlo totalmente.
Don’t Worry, basato sull’omonimo memoriale di John Callahan, racconta la vita del vignettista americano soffermandosi non tanto sulla sua carriera quanto sui suoi problemi di alcolismo, legati strettamente alla figura della madre naturale che lo abbandonò, e all’incidente che lo portò alla paralisi;  l’inquadrare il film principalmente sul privato, sviscerando soprattutto l’argomento della dipendenza, mette subito in chiaro l’intento di Van Sant: il film è sì un omaggio al vignettista ma anche un importante insegnamento per chiunque. La sua universalità lo rende un film appetibile e coinvolgente anche per chi non aveva mai sentito parlare di Callahan fino ad oggi. La sua attività lavorativa diviene così un’occasione di riscatto, una nuova ragione per continuare, o meglio iniziare, a vivere.

Come durante un post sbronza, il montaggio inizialmente gioca con i piani temporali e confonde; solo con la presa di coscienza da parte del protagonista della sua condizione e col suo darsi da fare per risolverla si arriva a trovare una linearità.
Il film è umano e sincero evitando di essere buonista, ma quel che purtroppo manca è lo humor nero e politicamente scorretto tipico di Callahan: Van Sant inserisce, anche in versione animata, alcuni dei disegni del vignettista che riescono a strappare più di un sorriso, ma sul piano della sceneggiatura questo aspetto manca il più delle volte: dramma e commedia percorrono il film parallelamente con troppe poche occasioni di incontro.
L’interpretazione di Joaquin Phoenix è al solito degna di nota, anche se non riserva sorprese (torna alla memoria il suo Johnny Cash in Walk the Line), e, mentre Rooney Mara non viene sfruttata a dovere, anche perché la storyline romantica risulta la più debole dell’intero film, Jonah Hill conquista la scena in più di un’occasione nel ruolo dello sponsor di Callahan.
Indubbiamente alla fine il film ci lascia sereni, portando a casa così il suo intanto, ma siamo lontani da altri tipo di emozioni visive e narrative, sempre vere però indelebili, ai quali Van Sant ci aveva abituati e che speriamo di poter ritrovare presto in un suo film. Questo è solo una consolazione.

VOTO: 6,5/10