7.9.18

Venezia 75: Capri Revolution - La recensione del nuovo film di Mario Martone

Di Massimo Vozza

In dirittura d’arrivo, Venezia 75 presenta in concorso nella selezione ufficiale una purtroppo deludente e presuntuosa opera italiana diretta da Mario Martone (Il giovane favoloso).
Nella Capri a ridosso della Prima Guerra Mondiale, la capraia Lucia (Marianna Fontana) incontra la comune di giovani nordeuropei guidata dal pittore Seybu (Reinout Scholten van Aschat), che vive in piena libertà e armonia con la natura, il proprio corpo e la sessualità, e il giovane dottore interpretato da Antonio Folletto (L’attesa), portatore di ideali di sinistra e reazionari; le tre diverse visioni della vita entreranno  così in contatto portando la protagonista a una rivalutazione di se stessa e del suo ruolo, in modo da poter scegliere incondizionatamente per il proprio futuro.

Capri-Revolution si incentra quindi su una rivoluzione tutta interiore della giovane protagonista ma quel che dimentica Martone è che viene a mancare il necessario confronto/scontro per far sì che ciò avvenga: le reazioni degli isolani e della famiglia di Lucia vengono relegati a un piano secondario e spesso mancano di credibilità poiché troppo contenuti rispetto a epoca e luogo. Certo, la volontà del regista di voler girare un film principalmente estetico è evidente, soprattutto nella prima parte, ma si perde nei meandri di dialoghi didascalici improvvisi, fini a se stessi, giustificati dal non essere riusciti a far parlare abbastanza le bellissime immagini realizzate grazie alla fotografia di D’Attanasio: questi però non coinvolgono direttamente Lucia ma riguardano gli incontri tra il medico e il pittore, ai quali non viene riservato nessun tipo di evoluzione.


Il cast non eccelle, soprattutto quando è costretto a recitare in una lingua che non è la loro (oltre al dialetto napoletano e l’italiano, vi sono anche inglese, francese, tedesco e russo) e alterna momenti da fiction televisiva ad altri da sceneggiata napoletana.

Nonostante quindi alcune scene dall’atmosfera malickiana, dove corpo e natura entrano in simbiosi, e delle inquadrature dell’isola suggestive, la regia non riesce a centrare l’obiettivo di donare significato e emozione senza l’uso delle parole, mentre la sceneggiatura è troppo povera per poter bastare. Martone insomma ripropone un’altra storia priva di ritmo che parte dal e parla del basso in maniera verista, ponendo al centro un conflitto che c’è ma non si vede e dando al personaggio principale una possibilità di riscatto: dire che basti è veramente troppo.

VOTO: 5/10