Presentato oggi in anteprima al Roma Film Fest, Quello che non uccide, nuovo capitolo della saga di Millennium, prosegue con scarsa coerenza cinematografica e impronta narrativa il film del 2011 di David Fincher interpretato da Rooney Mara e Daniel Craig, qui sostituiti da un’imperfetta ma volenterosa Claire Foy (First Man) e un insoddisfacente Sverrir Gudnason (Borg McEnroe).
Questa volta la pirata informatica Lisbeth Salander si ritrova invischiata in una ragnatela intessuta di agenti segreti, criminali computerizzati e funzionari governativi corrotti; avrà nuovamente bisogno del giornalista Mikael Blomkvist per sopravvivere e affrontare finalmente, faccia a faccia, i fantasmi del suo passato.
Il film è basato sull’omonimo romanzo scritto dallo svedese David Lagercrantz che ha proseguito la saga dopo la conclusione della trilogia originale del defunto Stieg Larsson. Come è cambiato l’autore dietro l’opera letteraria, cambia il regista: Fede Álvarez (La casa) sostituisce Fincher cercando di richiamare la sua impronta autoriale solo in parte e con risultati non abbastanza soddisfacenti; sulla carta è stato intelligente il non proseguire il prodotto in lingua inglese precedente, peccato che davanti a questo nuovo inizio ci sembra di guardare un film che tradisce l’universo di riferimento: la sceneggiatura è estremamente americanizzata, con conseguente eccesso di sequenze d’azione e inseguimenti, e perde il suo tocco europeo sia dal punto di vista estetico che narrativo finendo per assomigliare quindi a uno dei tanti thriller commerciali hollywoodiani al quale però non viene dato il giusto pathos perfino duranti i (forse perché prevedibili) plot twist.
A risentirne maggiormente è però proprio la protagonista, la cui essenza e umanità si dovrebbe palesare sottilmente tra le fessure del suo stato psicologico asociale e apparentemente distaccato; Lisbeth finisce per assomigliare a uno 007 simile a quello di Skyfall, opera al quale il film strizza l’occhio più volte compresi i titoli di testa, senza che la sua condizione acquisti sufficiente spessore. Inoltre il rapporto con Mikael perde di centralità e viene inserito nella storia superficialmente: il suo personaggio ai fini della storia risulta in conclusione praticamente inutile, anche perché soffocato dai personaggi femminili potenzialmente più interessanti (comprese le villain).
Puntare sulla forza e indipendenza delle donne in questo capitolo era pure una buona partenza ma purtroppo viene mal portata avanti e finisce per inserirsi in schemi visti e rivisti, diretti in modo frenetico e focalizzati troppo sull’intrattenimento che, anche se discreto, non è quello che ci si aspettava e sperava.
VOTO: 5/10