Robin Hood : L’origine della leggenda – La recensione dell’action movie con Taron Egerton e Jamie Foxx

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Di Massimo Vozza

A un decennio dalla nascita del Marvel Cinematic Universe, è ormai chiara la tendenza del cinema commerciale di puntare sulla creazione di nuovi filoni narrativi basati su eroi, indipendentemente dal se siano super o meno oppure dal derivare dalla carta stampata. Il regista britannico, di provenienza palesemente televisiva, Otto Bathurst tenta di riscrivere in questa chiave la leggenda di Robin di Loxley, trasformando Robin Hood nel suo alter ego supereroico in una maniera a dir poco grossolana e colma di cliché.
Al ritorno dalle crociate, Robin di Loxley (Taron Egerton) scopre che la contea di Nottingham è dominata dalla corruzione. L’ingiustizia e la povertà in cui vive il suo popolo, a causa soprattutto dello sceriffo (Ben Mendelsohn), lo spingono così a tramare per organizzare una rivolta con la complicità di Yahya (Jamie Foxx), un comandate conosciuto durante la guerra che, diventando suo mentore, lo aiuterà a trasformarsi in Robin Hood.
Alla base di questo progetto vi è palesemente l’idea di inserire nella medievale leggenda inglese elementi di modernità e fumettistici, raggiungendo un risultato però totalmente confusionario e posticcio: gli anacronismi mal si inseriscono in maniera omogenea nella storia poiché sembrano non seguire una linea precisa e coerente di riscrittura. A peggiorare la situazione, tutta una serie di riferimenti in contrasto tra loro e citazioni spesso forzate che spaziano dal videogioco Assassin’s Creed a Rocky passando per il già citato universo della Marvel Studios, Matrix e l’ultimo Hunger Games. Per tali ragioni, anche i palati meno fini storceranno il naso davanti alla maggior parte delle sequenze, soprattutto di azione, il cui unico pregio è il calzante ritmo.
In questo film la cattiva scrittura è a braccetto con la posticcia estetica: personaggi stereotipati, piatti, anche, se non in primis, quando vengono rielaborati rispetto alle più canoniche versioni di questa leggenda, si muovono in ambienti scenografici malamente ricostruiti o, quando preesistenti, minimamente valorizzati. Forse però l’elemento più fastidioso sono i costumi: da Tuck (Tim Minchin) in vesti di vecchio hipster al personaggio di Jamie Dornan conciato come un manifestante del G8 di Genova; la giubba con il cappuccio che dà il nome all’eroe è però una delle trovate più scadenti, più simile a una giacca trapuntata in ecopelle di Bershka che a un costume creato ad oc per Robin Hood.
Gli interpreti inoltre sembrano non sforzarsi minimamente per migliorare un film che, arrivati a metà della sua narrazione, si dimostra impossibile da salvare; a conferma arrivano anche dei prevedibili colpi di scena, tra i quali l’ultimo che dovrebbe spianare la strada a un sequel che, durante i casuali titoli di coda in stile street art, ci auguriamo non vedrà mai la luce.
VOTO: 4/10