I Golden Globe hanno perso l’occasione di dare a ‘Pose’ e alla comunità transgender il giusto riconoscimento

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Di Daniele Ambrosini

La serie di FX creata da Ryan Murphy, Brad Falchuk e Steven Canals ha conquistato due candidature ai Golden Globe, quella per la miglior serie drammatica e quella per il miglior attore a Billy Porter, ma nessuna delle interpreti transessuali della serie è riuscita ad agguantare quella che sarebbe stata una storica, e più che meritata, candidatura alla statuetta.

Mentre movimenti come il #MeToo e polemiche come quella trainata dall’hashtag #OscarsSoWhite stanno facendo molto per il problema della rappresentanza delle minoranze nelle produzioni hollywoodiane e nelle annuali premiazioni, c’è un gruppo di persone ancora poco rappresentato che meriterebbe di ricevere maggiore attenzione, soprattutto quando si parla di premi: gli interpreti transgender. Una minoranza di quella sempre più cinematograficamente rilevante comunità LGBT, che però fatica a trovare la propria strada sullo schermo. Pose, sotto questo punto di vista, è stata una rivoluzione: con 5 attrici transessuali nel main cast, la serie di Murphy è in assoluto il prodotto televisivo con il cast fisso non cisgender più esteso della storia. 
Se Hailie Sahar e Angelica Ross hanno dei ruoli troppo piccoli per essere realmente prese in considerazione ai Globe, Mj Rodriguez, Dominique Jackson e Indya Moore, invece, meritavano assolutamente di ottenere una nomination al premio. Una loro candidatura avrebbe segnato la storia del premio, e non solo. Nessun interprete transessuale è mai stato candidato ad un premio americano rilevante dell’industria cinematografica e televisiva. Non è mai successo ai Golden Globe, così come non è mai successo agli Oscar. Unica eccezione sono gli Emmy dove Laverne Cox ha ottenuto due candidature per il suo lavoro nella serie Orange Is The New Black, ma entrambe come guest star. Forse starà sempre agli Emmy essere abbastanza lungimiranti da concedere il giusto riconoscimento ad almeno una delle interpreti di Pose, ovvero una candidatura come attrice protagonista. 
Pose è solo l’ultima di una lunga serie di occasioni sprecate da parte della comunità artistica americana per riconoscere innanzitutto l’esistenza di questa categoria di interpreti, troppo spesso ignorati, e poi l’eccellenza del loro lavoro, almeno dei pochi che riescono faticosamente a conquistare un ruolo. 
Alexandra Billings, prima interprete transessuale ad aver interpretato un personaggio transessuale in tv nel film Romy and Michele: In the Beginning, è oggi una delle star di Transparent, ma in passato è andata davvero molto vicina ad ottenere un ruolo ben più importante dei piccoli ruoli secondari che le sono stati offerti per tutta la carriera: Sabrina Osbourne in Transamerica. La parte è poi andata a Felicity Huffman, che per il film ha vinto un Golden Globe ed è stata candidata all’Oscar. Il caso della Billings è solamente il più noto, ma affidare ad attori cisgender ruoli da transgender è una pratica piuttosto comune ad Hollywood, e non solo. Così facendo, però, si preclude ad attori e attrici transessuali la possibilità di ottenere un ruolo, poiché ottenere una parte pensata per un interprete cisgender è praticamente impossibile per un trangender. In altre parole, l’accesso a praticamente qualunque tipo di personaggio viene loro precluso non per mancanza di talento, ma per una questione di disparità di opportunità. 
Solo lo scorso anno Daniela Vega, per il suo ruolo nel cileno Una donna fantastica, aveva generato un discreto Oscar buzz, tanto che molti credevano potesse diventare la prima donna transgender ad ottenere una candidatura all’Oscar. L’Academy, però, ha preferito candidare nomi più noti, per performance in lingua inglese. Il film ha poi trionfato come miglior film straniero e la Vega è diventata la prima presentatrice transessuale ad aver mai calcato il palco degli Oscar. Una magra consolazione, che dimostra quanta strada ci sia ancora da fare. 
La mancanza di candidature agli Oscar, ai Golden Globe e agli Emmy di interpreti transgender è solo l’ennesima conferma del poco interesse che l’industria cinematografica e televisiva ha nei confronti della diversità. Una candidatura agli Oscar per Daniela Vega o una ai Golden Globe per Mj Rodriguez sarebbe stato un riconoscimento non solo al singolo interprete, ma ad un’intera classe di lavoratori dello spettacolo, spesso troppo sottovalutati, e, in senso più ampio, ad un’intera comunità.
L’assenza di una candidatura attoriale ai Golden Globe per una delle interpreti di Pose è ancora più dolorosa, non solo perché sarebbe stata una nomination estremamente meritata, ma anche perché i Globe in passato sono spesso stati piuttosto lungimiranti nel riconoscere le novità del panorama televisivo. Poco male, qualcosa ci dice che non bisognerà aspettare ancora molto prima che il meritato riconoscimento arrivi, sia per Pose che per la comunità di talentuosi lavoratori dello spettacolo transgender, che da anni lavorano nell’ombra. Opere come Tangerine, Una donna fantastica, Transparent e la stessa Pose ci ricordano che negli ultimi anni in termini di rappresentanza qualcosa si è mosso e che là fuori ci sono autori coraggiosi in grado di creare personaggi e storie valide per questi interpreti di inestimabile talento, perciò, magari non sarà quest’anno, ma prima o poi arriverà la performance che farà ricredere i Golden Globe, e forse anche gli Oscar.

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