La classifica dei migliori horror del 2018, che hanno ridefinito il genere

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Di Gabriele La Spina

L’ascesa del genere horror, ormai da qualche anno rivalutato e tornato genere d’autore, è inarrestabile. Certo, vi è da dire che ancora nessuno, eccetto forse uno, è riuscito a eguagliare i livelli di splendidi lavori recenti come The Witch, It Follows e Babadook, probabilmente la sacra trinità dell’horror d’autore moderno; questo 2018 ha tuttavia significato qualcosa per il percorso di riscatto di questo genere.

Un grande autore come Luca Guadagnino ha realizzato un omaggio, dal raffinato carattere estetico, come Suspiria, che non vedremo nelle sale prima dello scoccare del 2019, ma che abbiamo già recensito a Venezia; ma è nei nuovi talenti che troviamo l’innovazione, il virtuosismo e quel barlume di genio, che ci aspettavamo. Non vi sono dubbi infatti nell’incoronare come miglior horror del 2018, Hereditary. Film d’esordio scritto e diretto da Ari Aster, un talento che d’ora in poi terremo di sicuro d’occhio; che racconta proprio il peso dell’eredità, un fardello, per una famiglia dilaniata da una perdita dopo l’altra, sfociando nella pura pazzia; tra sedute spiritiche, possessioni e sette, è l’ennesimo horror che cita il capolavoro di Roman Polanski, Rosemary’s Baby, ma si elegge come erede spirituale de L’esorcista di William Friedkin. Un’atmosfera lugubre e una tensione che si insinua sottopelle, non avrebbero fatto da sole il successo di Hereditary senza la performance di Toni Collette, probabilmente premio Oscar in un altro anno, ma beniamina della critica americana.

Una scena di “Hereditary”.

Ma non è solo A24 ad avere sempre il merito della distribuzione dei migliori horror, infatti nel podio insieme al gioiellino di Aster, troviamo due piccoli lavori ad arte, anche se del tutto opposti. Thelma, arrivato quest’anno nelle nostre sale, con la regia sopraffina di Joachim Trier, che rielabora tematiche già battute del maestro dell’horror letterario, Stephen King, in romanzi (divenuti anche pellicole) come il suo debutto Carrie nonché Fenomeni paranormali incontrollabili. Eppure in Trier vi è più crudeltà, e una ricerca nell’approfondimento psicologico della sua protagonista, una studentessa universitaria proveniente da una famiglia fortemente religiosa che manifesta, sacrileghi, poteri paranormali e sopprime un trauma del suo passato. La Thelma di Trier e più spregiudicata di Carrie, e arriva ad abbracciare le sue capacità come espressione della sua femminilità in crescita. Le sequenze poi, stilisticamente lynchane rendono il film un futuro cult del genere. Sembra infatti paradossale accostarlo a una serie televisiva, e non verrà citata American Horror Story, che da prima aveva il monopolio televisivo sul genere, né Le terrificanti avventure di Sabrina, nonostante sia stato un delizioso siparietto pop; bensì Hill House. Perché la serie di Mike Flanagan, regista per eccellenza di horror come il sottovalutato Oculus o Il gioco di Gerald sempre per Netflix, possiede una solidità sorprendente nella sceneggiatura degli episodi che seguono le vicende di cinque fratelli che ai giorni nostri vivono i traumi di una casa infestata da presenze demoniache, nella quale hanno vissuto nella loro infanzia. Potrebbe definirsi minuzioso Flanagan nell’aver inserito diversi easter egg nel corso degli episodi, dove nello sfondo possiamo scorgere spiriti che osservano i nostri protagonisti, coinvolti in una sorta di dislocazione temporale con risvolti inaspettati; ma il suo punto di forza è il saper sperimentare e rischiare, con un episodio dove l’azione si svolge quasi unicamente in una stanza in stile pièce teatrale. 
Poiché la voglia di sperimentare è da sempre il giusto input per la creazione di piccoli capolavori. Probabilmente è successo lo stesso a due registi, che si accodano nella classifica a Flanagan. Il primo è Steven Soderbergh che ha pensato bene di girare un noir hitchcockiano semplicemente con un iPhone. In Unsane ritroviamo la Claire Foy di The Crown nei panni di una donna ingiustamente rinchiusa in una clinica psichiatrica; un incubo soffocante, che risulta uno dei migliori lavori di Soderbergh da anni, testimoniando che un basso budget scatena l’inventiva. Ci sono però registi, come l’ex attore John Krasinski, che riescono a firmare, con una major alle spalle, un horror che si basa paradossalmente sui vecchi film muti (e no, non si tratta di un remake di The Artist). A Quiet Place, che poi sarebbe dovuto essere un capitolo della saga di Cloverfield, racconta di una realtà in cui la terrà è stata devastata dall’arrivo di una razza aliena cieca, ma che si orienta con i rumori. Il pretesto lascia già presagire ogni risvolto possibile, e se si aggiungono le ottime prestazioni di interpreti come Emily Blunt e la giovanissima Millicent Simmonds, già azzeccata in Wonderstruck di Todd Haynes, il successo è assicurato.

Claire Foy in “Unsane”.

Seguono in coda, le presenza di ben tre produzioni di Netflix oltre Hill House. Va considerato che il colosso dello streaming ha una particolare predilezione per il genere horror, forse perché si tratta della tipica tipologia di film che un gruppo di amici in riunione, tra pop-corn e pizza, sceglie di vedere sul divano di casa; ma non tutte le volte ha centrato l’obiettivo. Tantissime le opere da citare, come Il rituale, Cargo, Malevolent; ma vanno premiate tre produzioni. In primis, Annientamento, horror fantascientifico di Alex Garland che gioca con l’esistenzialismo e rielabora cult del genere come Alien, La mosca o Jurassic Park; Cam, un film di fortissima attualità, che spinge sull’incubo tanto comune di vedere la propria identità virtuale non solo sottratta, ma sdoppiarsi, in una parabola che risulta una sorta di critica al dualismo della nostra personalità nel modo di comunicare odierno, ottimo esordio di Daniel Goldhaber; e infine Apostolo, che si fa amare per il suo essere cruento, apparentemente una sorta di The Wicker Man, ma che nasconde una valenza quasi leggendaria-fantasy, con trovate registiche di non poco conto da parte di Gareth Evans, regista di The Raid.
A completare questa selezione vi sono infine due registi la cui presenza risultava quasi obbligatoria. Pascal Laugier, con il suo Martyrs ha realizzato un cult indiscusso che trascende il genere horror, e “trascendere” è un termine chiave per la comprensione della sua opera più celebre; tanto da essere estremamente atteso il suo ritorno con Ghostland, distribuito in Italia con il main title La casa delle bambole; ovvero Non aprite quella porta, con una narrazione più complessa, che ruota attorno la psiche della sua protagonista. Coinvolge con la sua atmosfera, rilancia gli stereotipi del genere, e perpetua la doppia valenza delle pellicole di Laugier che costringe sempre lo spettatore a rivedere le sue idee costruite nel primo frangente del film, per poi scoprire un percorso narrativo differente. E infine Susanne Bier, meritevole di menzione per una svolta di non poco conto nella sua carriera, dedicatasi al genere horror con Bird Box, film di carattere distopico che mette in scena un futuro dove dell’entità invisibili (a metà strada tra It e La casa), inducono al suicidio chi le guarda. Film cugino di A Quiet Place, ma in realtà nipote di “Cecità” di José Saramago, orchestra a dovere la tensione con efficaci visuali in prima persona, un pizzico di ironia, e sequenze suggestive.

La classifica completa:


1. Hereditary (Ari Aster, USA)
2. Thelma (Joachim Trier, Norvegia)
3. Hill House (Mike Flanagan, USA)
4. Unsane (Steven Soderbergh, USA)
5. A Quiet Place (John Krasinski, USA)
6. Annientamento (Alex Garland, UK)
7. Cam (Daniel Goldhaber, USA)
8. Apostolo (Gareth Evans, UK)
9. Ghostland (Pascal Laugier, Francia)
10. Bird Box (Susanne Bier, USA)


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