Venezia 76: L’ufficiale e la spia – La recensione del film di Roman Polanski in concorso

Seguici anche su:
Pin Share

Di Simone Fabriziani

Il 5 gennaio 1895 il capitano Alfred Dreyfus (Louis Garrel), un giovane soldato ebreo, viene accusato di essere una spia della Germania e condannato all’ergastolo sull’Isola del Diavolo. Tra i testimoni della sua umiliazione vi è Georges Picquart (Jean Dujardin), che è promosso invece alla direzione dell’unità di controspionaggio militare che lo ha incastrato. Quando però scopre che informazioni segrete arrivano ancora ai tedeschi, Picquart viene trascinato in un pericoloso labirinto di inganni e corruzione che minaccia non solo il suo onore ma anche la sua stessa vita. In concorso alla 76° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia  e nelle sale italiane a partire dal 21 novembre con 01 Distribution, L’ufficiale e la spia è l’atteso ritorno dietro la macchina da presa del premio Oscar Roman Polanski.


L’ufficiale e la spia (il titolo per il mercato francese è J’accuse, molto più potente) è il ritorno dietro la macchina da presa per il regista polacco dopo il debolissimo thriller psicologico Quello che non so di lei e in concorso al Lido dai tempi dell’ottimo dramma teatrale Carnage. Qui invece siamo nei territori della letteratura storica, visto che J’accuse è l’adattamento del romanzo omonimo di Robert Harris, qui co-sceneggiatore assieme allo stesso Polanski; un lungometraggio che ha tutto il sapore di slancio artistico dalle venature autobiografiche, ma anche invettiva veemente e incisiva sullo stato attuale della società francese.
Le vicende del celeberrimo caso giudiziario dell’affaire Dreyfus sono qui raccontate con uno stile volontariamente letterario, da feuilleton d’epoca dai tratti investigativi, ed in secondo luogo giudiziari della vicenda. Un film d’altri tempi anche nella elegante e certosina messa in scena, tutta imperniata nella maggior parte del suo dispiegarsi sul grande schermo all’interno dei palazzi del potere, dell’amministrazione francese che alla fine del XIX secolo ha erroneamente imprigionato Alfred Dreyfus perché ebreo.

Prima dramma in costume dallo stampo antico e polveroso, poi appassionante opera di camera sull’investigazione di Picquart nel tentativo di scagionare il capitano dell’esercito francese, poi esplosione di conflitti di interesse politici e sociali in tribunale che alla fine di quel secolo stavano facendo già il giro del mondo e che forse da lì a poco, lo avrebbero cambiato per sempre.
Inutile enfatizzare tutte le suggestioni autobiografiche legate ad eventi passati della vita privata del regista per giustificare la scelta di Polanski di raccontare le vicissitudini della riapertura del caso Dreyfus, L’ufficiale e la spia è un ritorno al racconto storico preciso e formativo per il regista de Il pianista, un esercizio (forse un po troppo) formale di altri tempi, con altri ritmi e bisogni contenutistici, ma sempre modello di magistrale minimalismo da seguire con ammirato rispetto.
VOTO: 7/10