6.9.19

Venezia 76: Waiting for the Barbarians - La recensione del film con Mark Rylance, Johnny Depp e Robert Pattinson

Di Massimo Vozza

La selezione ufficiale dei film in concorso di Venezia 76 si chiude con una delusione: il nuovo film di Ciro Guerra dal titolo Waiting for the Barbarians, tratto dall’omonimo romanzo di J. M. Coetzee. Nonostante sia interpretata da attori del calibro del premio Oscar Mark Rylance, Johnny Depp e Robert Pattinson, l’opera riprende il filone del difficile incontro tra culture diverse in un’epoca passata (in questo caso non specificata); il problema però non è stato tanto il rifarsi a qualcosa di già visto ma il non saperlo portare avanti degnamente, un po’ per vuotezza nei contenuti, un po’ per eccessive divagazioni narrative. 

Come da manuale la storia ha al centro un uomo e la ricerca di redenzione attraverso la costruzione di un rapporto di tolleranza e convivenza tra gli invasori dei quali fa parte e la popolazione autoctona considerata inferiore. Nello specifico si racconta di un magistrato (Rylance) che da amministratore di un isolato avamposto di frontiera al confine di un impero senza nome, in attesa della tranquillità della pensione, diviene un ribelle una volta resosi conto dei violenti interrogatori subiti dai barbari da parte del colonnello Joll (Depp) e la nascita di un legame con una maltrattata giovane donna barbara mossa dal desiderio di riunirsi al suo popolo. 

Le due linee narrative, quella con il villain della storia e quella della relazione sentimentale, si intrecciano in maniera disarmonica, lasciando l’impressione di un qualcosa che poteva essere ma non è stato, in una direzione o nell’altra; a peggiorare il rapporto tra i personaggi c’è inoltre l’arrivo dell’ufficiale interpretato da Pattinson, altro cattivo che nulla aggiunge al discorso già portato avanti nel primo atto con Depp, ossia che le atroci barbarie possono essere causate anche da chi appare più civilizzato. L’attesa evocata dal titolo inoltre ne fa da padrone: la narrazione strutturata in quattro episodi stagionali si sviluppa in tempi estremamente dilatati, se non addirittura morti.


La potenza visiva, fatta di campi lunghi e lunghissimi suggestivi per la location ma niente di più, e/o sonora, la quale comprende delle composizioni originali raramente sfruttate e banali, non riescono ad affascinare e comunicare a sufficienza da giustificare una storia in fondo minimale e giocata sulle atmosfere. Siamo quindi in parte lontani dall’esempio di altre opere di frontiera e scoperta del (non poi così) diverso come The New World di Malick ma anche, diversamente, The Revenant di Iñárritu (seppur a un certo punto si sarebbe potuti sfociare anche qui nella revenge story); perfino altri film sempre contemporanei però meno riusciti come Hostiles di Scott Copper appaiono più efficaci al confronto. E non bastano i nomi di richiamo del cast, sfruttato poco (Pattinson), male (Rylance) o in maniera già vista (Depp), per salvarlo. 

In tempi come quelli di oggi, Waiting for the Barbarians sarebbe potuto essere davvero un film necessario se solo ovviamente avesse fatto appello in primis all’universalità dell’argomento trattato, ancora purtroppo attuale, oppure a una costruzione cinematografica perlomeno degna dei suoi predecessori tematici. 

VOTO: 4/10