Presentato a gennaio al Sundance Film Festival, approda in Italia nella selezione ufficiale della 14° Festa del Cinema di Roma il primo lungometraggio scritto da Shia LaBeouf, basato sulla sua infanzia e in particolare modo sul rapporto con il proprio padre che ha deciso di interpretare personalmente.
Honey Boy (titolo che si riferisce al nomignolo datogli dal genitore in preadolescenza) è un ritratto sincero, la messa a nudo di una parte della biografia del giovane attore (che tale era anche da giovanissimo); seppur pecchi a volte di auto-referenzialità e le condizioni vissute dall’alter ego dell’interprete, ossia il personaggio di Otis Lort, siano più uniche che rare, la narrazione si appella al principio di universalità dei rapporti familiari e lo fa il meno banalmente possibile e aggirando ogni volta che può gli eccessi romanzeschi all’interno di una struttura sorprendentemente libera. L’elemento meta-cinematografico della vicenda occupa uno spazio non eccessivo all’interno dell’opera anche se resta indubbia la sua importanza: difatti il film si apre durante il girato di una scena su un set che ricorda terribilmente quello di Transformers (del quale LaBeouf è stato il protagonista) e le capacità recitative di Otis segnano in maniera originale alcune scene ambientate al di fuori del mondo del cinema come quella riuscitissima della telefonata con la madre o della giocosa improvvisazione mimica in compagnia della ragazza interpretata dalla cantante FKA Twings (probabilmente tra le maggiormente poetiche del film).
A convincere meno, forse perché non vissute in prima persona nella vita reale dallo sceneggiatore, sono alcuni momenti stand-alone del padre anche se permettono a Shia LaBeouf di continuare mostrare, anche in assenza della sua controparte, il suo indubbio talento interpretativo.
Talento che possiede decisamente Noah Jupe (Otis all’età di 12 anni), il quale non solo vanta già una filmografia invidiabile ma che qui emerge particolarmente, al punto da eclissare perfino il bravo Lucas Hedges che interpreta invece Otis a 22 anni, chiuso in un centro di recupero a fare i conti con il passato. Diretto dalla regista di origine israelita Alma Har’el, il cui passato come regista di video musicali si sente nello spesso frenetico ritmo delle scene, enfatizzato da una macchina a mano incisiva e un montaggio serrato, Honey Boy è il film spudoratamente e piacevolmente indipendente che dimostra la versatilità di LaBeouf nel mondo del cinema e soprattutto porta ulteriormente l’attenzione su Jupe, la giovane star che speriamo avrà un altrettanto brillante futuro, mentre noi spettatori, seguendo le orme dell’autore nel caso ce ne fosse il bisogno, veniamo spinti a fare i conti con il passato nella speranza di un finale liberatorio come quello del film.
VOTO: 7,5/10