Dopo il grande successo di Logan le aspettative nei confronti del regista James Mangold si sono decisamente alzate e perciò risulta abbastanza frustrante che il suo nuovo film appaia nella sua totalità un passo indietro, seppur piccolo. Nel raccontare la corsa (letteralmente) al raggiungimento del sogno americano, il registra dimostra ancora una volta di conoscere più che discretamente la macchina cinematografica ma lo fa sulla base di una sceneggiatura superficiale.
Le Mans ’66 - La grande sfida è la storia vera del progettista ed ex automobilista Carroll Shelby e del pilota britannico Ken Miles che, ingaggiati dalla Ford, tentarono di costruire una vettura sportiva in grado di vincere la 24 Ore di Le Mans contro l’avversaria Ferrari, con lo scopo di rilanciare l’intera azienda.
La narrazione riesce a toccare tutti gli elementi e temi della storia nonché i conflitti, tra i quali la necessità di riscattare se stessi (con il successo ma anche economicamente) da una parte e il gioco di squadra dall’altra, il rapporto lavorativo e di amicizia che proseguono di pari passo, intrecciandosi e scontrandosi, eppure nella sua totalità il film appare spesso maggiormente come una rivista specializzata di motori piuttosto che un racconto che indaga appieno e in profondità gli aspetti che vanno al di là della sua sovrastruttura, quella incentrata sulla corsa e sull’automobilismo.
A mancare è quindi una visione innovativa per la trasposizione di una vicenda di questo genere, le cui potenzialità a livello cinematografico erano già state in qualche modo indagate recentemente e dignitosamente da Ron Howard con Rush. È indubbio che soprattutto gli elementi di montaggio, fotografia e sonoro se ben curati e bilanciati (e qui lo sono) riescono a emozionare gli spettatori in sala, mostrando adrenaliniche scene di automobili che raggiungono alte velocità ma dire che questo riesca a bastare per rendere Le Mans ’66 un film degno di nota sarebbe forse eccessivo. Non stupisce che il regista non sia per sua stessa ammissione un appassionato a sport motoristici: probabilmente un legame più diretto tra il materiale di partenza e Mangold avrebbe donato al film il cuore che sembra mancare.
Il cast vede il duo Matt Damon e Christian Bale, entrambi protagonisti ma non sullo stesso livello non solo per capacità recitative ma anche per scrittura dei rispettivi personaggi: Bale riesce a sovrastare il collega grazie non solo al suo talento ma anche a un’attenzione maggiore dedicata alla costruzione di Miles nonostante sia meno presente sullo schermo rispetto a Damon/Shelby che invece si limita perlopiù a masticare fastidiosamente un chewing-gum e a aggiungere un altro stereotipo texano alla storia del cinema. E, a proposito di stereotipi, stupisce come attori italiani si siano prestati a interpretare personaggi come Bandini e Ferrari ridotti qui a macchiette.
Un po’ si ride, un po’ ci si potrebbe commuovere, però a restare è soprattutto la mano capace di girare le scene sul circuito di Le Mans ottimamente. Il resto ahimè sfugge via con la fine del film.
VOTO: 6,5/10