1917 – La recensione del trionfo registico di Sam Mendes candidato a 10 premi Oscar

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Di Simone Fabriziani

Al culmine della Prima guerra mondiale, due giovani soldati britannici, Schofield (George MacKay) e Blake (Dean-Charles Chapman) ricevono una missione apparentemente impossibile. In una corsa contro il tempo, devono attraversare il territorio nemico e consegnare un messaggio che arresterà un attacco mortale contro centinaia di soldati, tra cui il fratello di Blake. Da giovedì 23 gennaio arriva nelle sale italiane l’acclamato 1917 co-scritto e diretto dal premio Oscar Sam Mendes e distribuito da 01 e Leone Film Group.

Un lungometraggio da far tremare i polsi a qualunque cineasta contemporaneo questo 1917, gran kermesse produttiva che si incapsula nel genere cinematografico del war movie omaggiandone i grandi topoi del passato (impossibile non tornare alla mente al seminale Salvate il soldato Ryan diretto da Steven Spielberg nel 1998) assieme ad uno sfoggio impressionante di tecnica dietro la macchina da presa: 1917 è difatti il primo war movie ad essere realizzato come fosse un long shot movie, ovvero un unico piano sequenza. Un fittizio piano sequenza ad onor del vero, merito tutto della magia del cinema, e sopratutto del montaggio “invisibile”.

Già apprezzato e tornato alla ribalta delle grandi produzioni cinematografiche con titoli già premiatissimi dall’Academy come  il Gravity e il più recente Roma di Alfonso Cuaròn, senza dimenticare i virtuosismi da capogiro di Alejandro Gonzalez Inarritu con Birdman e Revenant – Redivivo, il piano sequenza sfruttato da Sam Mendes in 1917 è tecnicamente avvolgente ed emozionante , certosino e cesellato lavoro di dettaglio da parte di un ottimo mestierante della macchina da presa che qui torna a mettersi alla prova dietro una grande produzione dalle ambizioni da blockbuster d’autore (le esperienze roboanti alla regia di Skyfall e Spectre gli hanno insegnato tanto).
Ma il regista britannico di American Beauty osa ancora di più rispetto al furore a tratti guerrigliesco del Revenant di Inarritu, forse il lungometraggio più apparentato per ambizione e ritrattistica della resilienza umana in one shot: usa e sfrutta la tecnica del piano sequenza anche per raccontare le vicende umanissime dei due soldati protagonisti (le star britanniche in ascesa George MacKay e Dean Charles-Chapman) , la loro missione di pace impossibile, la loro testimonianza oculare degli orrori troppo veri di una guerra logorante e disumana, il loro anelito al ritorno a casa, tra le braccia dei proprio affetti. Perché sono eroi, ma sono anche degli adolescenti cresciuti troppo presto.
Proprio nel voler e saper raccontare il viaggio impossibile dei due giovani soldati e delle loro peripezie in una terra di nessuno perigliosa e accidentata fianco a fianco dei piccoli e dei grandi protagonisti, dei volti comuni ed indimenticabili incontrati durante il cammino (cammei eccellenti anche per i britannici Colin Firth, Benedict Cumberbatch, Andrew Scott) che l’uso del piano sequenza si fa anche strumento del racconto dell’umanità prima perduta e poi riacquistata che viaggia negli occhi carichi di speranza dei due protagonisti. Meraviglia tecnica sopraffina e missione cinematografica salvifica dal cuore umanissimo, 1917 è candidato a 10 premi Oscar, tra cui miglior film e miglior regia, la seconda per Sam Mendes dopo 20 anni dal successo globale di American Beauty.
VOTO: 8/10


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