The Grudge – La recensione del remake horror di Nicolas Pesce

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Di Massimo Vozza

Supportare il cinema è importante, soprattutto quando sembra esserne negata la possibilità per ragioni sanitarie in parte comprensibili, ma se poi nel momento in cui si spengono le luci, inizia il film e questo è il reboot dell’horror The Grudge del 2004, remake statunitense del j-horror Ju-on: Rancore del 2002, che era a sua volta il terzo capitolo della saga Ju-on, conviene restarsene in quarantena. Se non fosse sufficiente già il background di questo titolo, che vede lo sfruttare ulteriormente un prodotto cinematografico di soli venti anni fa, ve ne spiego le ragioni.
La prima è il presupposto narrativo che ha permesso di spostare la storia dal Giappone agli Stati Uniti: la maledizione al centro della trama, legata al luogo nel quale vi è stata una morte violenta e rabbiosa, a quanto pare, in questa nuova versione, può seguire chiunque entri nella casa ovunque. Perché? Perché così vi dicono le scritte all’inizio del film. Di conseguenza vediamo l’onryō trasferirsi in Pennsylvania con Fiona Landers che poi massacrerà la sua famiglia diventando lei stessa insensatamente un onryō (dovrebbe essere la persona che è morta violentemente a diventarlo e non l’artefice del delitto) e maledicendo la sua casa i cui effetti si ripercuoteranno sugli altri personaggi, raccontanti in tre differenti linee temporali alternate (scelta ripresa dal capitolo del 2002) le quali narreranno ovviamente altri episodi di violenza. Insomma viene da chiedersi se quindi la maledizione non sia una sorta di virus, la casa negli USA invece Codogno e quella la Tokyo non sia infine la Wuhan… 

Similitudini a parte, noterete come il solo elemento di avvio appaia confuso e forzato, soprattutto se si ha una certa conoscenza dei film di questo e delle credenze giapponesi. E la storia non migliora proseguendo, cercando di donare profondità a personaggi che in realtà non ne hanno e giocando con alcuni cliché del genere.
Cliché che ci portano alla seconda ragione: possibile che in un millennio dove autori come Aster, Peele, Eggers, Guadagnino e Mitchell e la Kent (ma l’elenco potrebbe continuare) abbiano dimostrato che l’horror può nuovamente uscire dal semplice film commerciale e diventare cinema degno di nota, con picchi artistici, si possa produrre un film così basico che non riesce a raccontare altro? Che i lavori di questi registi citati siano piaciuti o meno poco importa davanti alla banalità della messa in scena (oltre che narrativa) del The Grudge di Nicolas Pesce, finalizzata solo a far saltare dalla sedia lo spettatore, rifacendosi a un cinema che speravamo superato. Al me spettatore, sinceramente, non bastano più le inquadrature decentrate per metà buie e i lunghi silenzi che fanno presagire che qualcosa di terribile sta per accadere, soprattutto se si inseriscono in un prodotto che ha già dei precedenti che, con le loro pecche, restano decisamente migliori di questo. E ovviamente non può bastare il cast tutto sommato non incapace nonostante gli altri aspetti.
Chiudo facendo notare che Takashi Shimizu (creatore sia della saga originale che di quella statunitense) non è stato coinvolto in nessun modo e spero non scopra mai cosa hanno combinato  questi film prodotti da un Sam Raimi che perde decisamente colpi.
VOTO: 4/10


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