
Di Simone Fabriziani
Da sempre avvezzo ai rompicapi narrativi dell'anima (a partire dalle sue premiate scritture di Essere John Malkovich, Il ladro di orchidee e Se mi lasci ti cancello), Kaufman firma la sua terza regia dopo il sottovalutatissimo Synecdoche, New York e l'animazione "adulta" di Anomalisa, regalando allo spettatore più fedele della sua opera un nuovo puzzle psicologico degno dell sua fama. Sto pensando di finirla qui segue le tracce narrative del romano omonimo "I'm Thinking of Ending Things" di Ian Reid (qui anche in veste co-produttore), raccontando un viaggio dal sapore metafisico e meta-testuale che mette alla prova l'arguzia dello spettatore seminando indizi e costellando la pellicola di riferimenti letterari, cinematografici, televisivi e musicali.
Sto pensando di finirla qui è a tutti gli effetti un thriller psicologico in cui nulla è come sembra, e dove la relazione amorosa in crisi dei due protagonisti fa da perfetto contraltare al dramma esistenziale del personaggio interpretato da Jessie Buckley: "cosa fare, come agire se sentiamo dentro di noi che non proviamo più nulla nei confronti del nostro partner? sto pensando di finirla qui." Un thriller dell'anima costruito non solo sui volti dei suoi personaggi, ma sopratutto sulle efficaci scenografie: dalla trasandata casa dei genitori di Jake ad una inquietante gelateria sperduta nel bel mezzo di una tormenta di neve, fino al complesso scolastico vuoto in cui si srotola davanti agli occhi il terzo, immaginifico atto narrativo.
Oltre a funzionare egregiamente come dramma esistenziale con colpo di scena finale, Sto pensando di finirla qui è ancora una volta il testamento di come Charlie Kaufman spinga sempre più verso il limite la sua capacità di raccontare per il grande schermo servendosi degli strumenti della meta-testualità: ancor più di Synecdoche, New York, l'adattamento del romanzo di Reid è un'esegesi brillante ed originale di fare cinema servendosi dello stesso cinema preesistente, dei generi cinematografici, della critica accademica della settima arte, delle sue teorie e delle sue analisi, dei meccanismi della narrazione per il grande schermo. In I'm Thinking of Ending Things quindi non è infrequente giocare con il dramma, con la commedia sentimentale, con il thriller, l'horror, con il cinema animato e il musical.
L'ulteriore conferma del talento di Charlie Kaufman come uno dei maestri contemporanei prediletti nella scrittura e nella regia per il cinema, prima che narratore di anime perdute e cuori spezzati.
VOTO: 7,5/10