Belfast - La recensione dell'acclamatissimo film scritto e diretto da Kenneth Branagh
Di Simone Fabriziani
Nell'Irlanda del Nord di fine anni Sessanta, il giovane Buddy vive in un contesto fatto di lotte della classe operaia, cambiamenti culturali e violenza settaria. Sogna un futuro che lo porterà lontano ma nel frattempo trova consolazione nei carismatici genitori e nei suoi arzilli e fiabeschi nonni. Belfast, scritto e diretto da Kenneth Branagh, è in anteprima italiana alla 16° Festa del Cinema di Roma e nelle sale a partire da giovedì 11 novembre con Universal Pictures.
Perché vedere Belfast
Il nuovo film scritto e diretto dal candidato all'Oscar Kenneth Branagh è il suo lungometraggio dietro la macchina da presa più autobiografico, più personale. Immerso in un evocativo bianco e nero che ben incornicia l'infanzia dello stesso autore, Belfast è un commovente omaggio alla sua città natale, narrata come luogo dagli spazi quasi teatrali, fatta di stradine di periferia popolate dagli stessi inquilini, le stesse facce. Tutto è raccontato "ad altezza di bambino" (il piccolo protagonista Jude Hill è un po' l'alter ego del giovanissimo Branagh), anche le vicende più private in ambito famigliare (luminosi i ritratti dei nonni a cui danno il volto i veterani consumati del cinema inglese Judi Dench e Ciaràn Hinds).
Storia dell'estate che ha cambiato per sempre la vita del piccolo cineasta, il Belfast di Kenneth Branagh non è esattamente la coming of age story che ci si aspetterebbe di vedere sul grande schermo: tutto è offerto allo spettatore con il tono e la grazie elegiaca del racconto naturalistico, poche sono le occasioni di mostrare le emozioni (spesso trattenute), molto invece è semplice evocazione di un luogo, di un anno, di un tempo, di persone; una fotografia di un momento di infanzia che ha plasmato l'età adulta di Branagh più che un convenzionale racconto di formazione e di evoluzione.
Perché non vedere Belfast
Perché il film autobiografico del regista, attore, sceneggiatore e produttore britannico appare però allo stesso tempo come un oggetto fin troppo artefatto per generare rispetto o semplicemente passione genuina. Non soltanto il film trattiene volutamente sentimenti, emozioni a favore di sguardi, luoghi e momenti specifici nel tempo e nello spazio ( e nella mente e nel cuore del piccolo Buddy) ed acuendo in questo modo la distanza tra prodotto cinematografico e pubblico, ma si permette anche il lusso di seguire tracciati narrativi già ampiamente intrapresi nel passato più o meno recente con risultati decisamente più memorabili. La memoria non soltanto sorvola titoli come il Roma di Alfonso Cuaròn o addirittura alcuni stilemi naturalistici del racconto di formazione Boyhood di Richard Linklater, ma ci si sofferma con nostalgia e tenerezza.
Per questo motivo e per tale apparentamento cinematografico e narrativo, il Belfast di Kenneth Branagh se visto da più vicino appare come un prodotto di poca onestà intellettuale, seppur nato da pulsioni e urgenze personali e legittime dello stesso autore. Il suo assetto, la sua forma, contribuiscono a rendere il lungometraggio vincitore del People's Choice Award all'ultimo Toronto International Film Festival un'opera di auto-compiacimento ruffiana e pretenziosa, seppur ben confezionata.
Belfast arriva nelle sale italiane con Universal Pictures a partire da giovedì 11 novembre