
Di Massimo Vozza
Il problema con questa versione, tocca dichiararlo sin da subito, riguarda proprio l’essere firmata da un cineasta ad oggi così classico, convenzionale: se l’opera del ’61 aveva portato alcune ventate di freschezza nel genere, come l’iconica fotografia dai colori saturi da un punto di vista estetico e l’aver affrontato anche con cinismo (nonostante uno spiraglio di speranza per i tempi a venire) un tema attuale come quello dell’integrazione, quella del 2021 non riesce a fare passi avanti ulteriori decisivi.
Certo, a ben guardare la rappresentazione delle minoranze nel cast viene da fare un respiro di sollievo (discendono quasi nella loro totalità dall’incrocio di diverse etnie), nonché il parziale spazio in più dato a Anybodys, personaggio trans portato qui sullo schermo dall’interprete non binario Iris Menas (in passato si trattava solo di una donna “maschiaccio”), ma sono anche passati sei decenni e soprattutto in seguito ai moti degli ultimi anni sarebbe stato strano agire diversamente. Inoltre il soffermarsi su alcune tematiche ma senza approfondirle davvero e neanche troppo maggiormente rispetto all’originale appare più solo una strizzata d’occhio forzata all’attualità statunitense, il che potrebbe anche risultare sgradevole, rendendo quindi le novità sul piano della sceneggiatura parecchio grossolane.
Indubbiamente il titolo è ben confezionato ma qui non si sta mettendo in discussione le qualità di un regista navigato e della sua crew ma il senso stesso del produrre una versione del genere di West Side Story oggi, se non quello di farlo forse conoscere alle ultimissime generazioni nonostante la non contemporaneità del linguaggio cinematografico utilizzato. Il tutto è abbastanza discreto o solo appena sufficiente, al punto da farci ipotizzare che si tratti di uno dei più inutili, seppur non brutto, prodotti commerciali dell’industria audiovisiva degli anni ‘2000. Più che un’operazione commerciale diremmo che si tratta di un “usato sicuro”.
VOTO: ★★★