24.5.22

Alcarràs - L'ultimo raccolto - La recensione del film vincitore dell'Orso d'Oro

Di Giuseppe Fadda

Alcarràs è un paesino rurale di cinquemila abitanti al centro della Catalogna. Questa località non dà solo l’ambientazione e il titolo al secondo lungometraggio della regista Carla Simón: è anche il posto da cui proviene la sua famiglia. E infatti Alcarràs è un film profondamente personale e questo non perché sia autobiografico, non lo è affatto, ma perché è personale il suo linguaggio. La cinepresa rivolge alla terra lo sguardo che si conserva per le cose o le persone amate e perse, uno sguardo che nel momento in cui si posa sul suo oggetto è già ricordo e nostalgia e che proprio per questo indugia su ogni dettaglio, sperando di poterlo conservare. L’aspetto forse più sorprendente di Alcàrras, il cui merito va tanto a Simòn quanto alla direttrice della fotografia Daniela Cajías, è proprio la sua capacità di catturare questa campagna imbevuta di sole con una tale vividezza da restituire un’esperienza quasi sensoriale. In questo senso, si tratta di un film personale nel modo migliore possibile, perché l’intimità che lega l’autrice e l’ambientazione non esclude lo spettatore, lo invita, lo rende partecipe. E la terra diventa un personaggio vero e proprio, a cui ci si avvicina e, gradualmente, ci si affeziona. 

Al centro della storia narrata c’è la numerosa famiglia dei Solé, che da anni coltivano gli alberi di pesche dei terreni della ricca famiglia Pinyol. I Pinyol erano stati nascosti dal bisnonno Solé durante gli anni della guerra civile e, come ricompensa, hanno lasciato che i Solé vivessero nelle loro proprietà e le coltivassero. Di questo accordo non c’è nessuna testimonianza formale, nessun documento, solo una promessa tra gli anziani capofamiglia. Ma una promessa può valere al massimo per chi l’ha stipulata e infatti, alla morte dell’anziano Pinyol, il suo erede decide di riconvertire i frutteti in campi fotovoltaici: al termine dell’estate, i Solé dovranno decidere se accettare di lavorare all’installazione dei pannelli o andarsene per sempre dalle terre che per loro non sono solo casa, ma proprio tutto ciò che conoscono.

Non c’è posto per il sentimentalismo nel film di Simòn, la storia da lei raccontata non è riconducibile a un facile schema morale. Non è una vicenda di sane tradizioni soppiantate dal calcolo economico e dall’avidità, anzi, a tal proposito, il fatto che i frutteti siano riconvertiti in campi fotovoltaici è particolarmente rivelatore di come Simón non abbia alcuna intenzione di stabilire una dicotomia tra buoni e cattivi. Il giovane Pinyol, così come il cognato della famiglia Solé che decide di lavorare per lui, non sono dei mostri, ma solo persone che compiono delle scelte in situazioni delicate. Questo non significa che Alcarràs non sia un’opera politica. Non è militante, non cerca di perorare una causa specifica, ma è politica nella misura in cui rappresenta una situazione sociale in tutta la sua complessità, in tutti i suoi risvolti sulle vite delle persone, in tutta la sua umana tragedia. 

Una tragedia che è tale per due principali ragioni. In primo luogo, perché la speranza di una lotta è pressoché inesistente: la manifestazione a cui partecipano il padre Quimet e il figlio coinvolge poche persone e ha conseguenze minime. In secondo luogo, perché ogni individuo vive la tragedia alla propria maniera. Quella della famiglia Solé è una storia di sofferenze private che attingono alla stessa fonte ma non comunicano, si sfiorano appena senza comprendersi. Questa incomunicabilità si riflette anche spazialmente, con la cinepresa che si sposta da un personaggio all’altro, ciascuno perso nei suoi sogni, dolori o rancori. Così troviamo il nonno Rogelio, che si siede sotto il pesco chiedendosi cosa sia andato storto; il padre Quimet, che guarda al futuro con rabbia e paura e non comprende la rabbia e la paura del figlio Roger; la pragmatica, fattiva madre Dolores; la figlia Mariona, che passa la maggior parte del film a preparare la sua esibizione alla fiera di paese a cui non avrà il coraggio di partecipare; e la piccola Iris, che vive ancora nel mondo dei bambini e della fantasia, in cui la gru che sradicherà i peschi può ancora essere parte di un gioco. 

Tutti questi personaggi si scontrano, si feriscono, si fraintendono, e raramente ci sono chiarimenti, discorsi profondi, toccanti riconciliazioni. La vita, più spesso che no, è così. Il cast è interamente composto da attori locali che offrono un’efficace e realistica performance corale, su cui svetta in particolar modo il commovente ritratto di Quimet da parte di Jordi Pujol Dolcet. Alcarràs non è un film facile: la deliberata assenza di una trama vera e propria e di un principio organizzatore rende la visione un’esperienza impegnativa, a tratti persino faticosa. Forse, guardandolo, lo spettatore avrà l’impressione che sia più lungo di quanto effettivamente non sia. Ma è uno sforzo che viene ripagato: una volta che il film è concluso e ce lo si è lasciato alle spalle, non rimane affatto un’impressione di noia o di stanchezza ma solo la sensazione di aver assistito a qualcosa di profondamente autentico.

Alcarràs sarà distribuito nelle sale a partire da giovedì 26 maggio 2022

VOTO: ★★★★