Whitney: Una voce diventata leggenda - La recensione del biopic dedicato alla cantante americana
Di Simone Fabriziani
Il film biografico diretto da Kasi Lemmons e in uscita nelle sale italiane da giovedì 22 dicembre con Sony Pictures, racconta le luci e le ombre della vita di Whitney Houston, la celebre cantante scomparsa tragicamente nel 2012 a soli 48 anni. Il biopic, con l'attrice inglese Naomi Ackie nella parte della protagonista, segue il percorso di "The Voice", come fu soprannominata, dai primi successi della metà degli anni '80, sino alla morte, senza tacere dei grandi problemi che ne oscurarono la carriera e l'esistenza: la tossicodipendenza, la bulimia e l'anoressia, la separazione burrascosa dal marito Bobby Brown, le cause legali con il padre e manager.
C'era da aspettarselo. Dopo il successo planetario di Boehmian Rhapsody, che aveva decretato una nuova strada narrativa da seguire per i film biografici di stampo musicale, era nell'aria un nuovo film sulle corde della fortunatissima pellicola di Bryan Singer e Dexter Fletcher; un vero e proprio film-concerto dove la forza della scrittura cinematorafica e delle idee di regia vengono soppiantate da una visione democristiana e superficiale della vita larger than life che si vuole raccontare sul grande schermo.
Whitney - Una voce diventata leggenda, è forse il primo lungometraggio che segue sfacciatamente le orme strutturali del successo strepitoso di Bohemian Rhapsody di quattro anni fa, e non è di certo un caso che lo sceneggiatore, Anthony McCarten, sia lo stesso. Il risultato di Whitney è una confezione cinematografica fin troppo laccata, incorniciata a puntino per non scontentare il maggior numero di spettatori generalisti, un ritratto fin troppo riverente ed edulcorato del genio musicale, della straordinaria voce e della vita travagliata di Whitney Houston. Non è tanto colpa della pur volenterosa regista Kasi Lemmons (aveva già diretto Harriet per il cinema e la miniserie Netflix Self-made - La vita di Madam C.J. Walker), quanto di una produzione che avrebbe voluto replicare un successo al botteghino in tempi difficili per gli esercenti come quello post-pandemia, raddoppiando una formula democratica che aveva già funzionato. Stavolta però con risultati assolutamente modesti.
Il film biografico dedicato alla cantante americana alla fine è molto più da imputare alla visione in fase di scrittura di Anthony McCarten quanto della regista dietro la macchina da presa. Dell'ingombrante parente Bohemian Rhapsody, il biopic prende in prestito (quasi) tutto: una struttura narrativa scandita cronologicamente, scene madri impreziosite da performance musicali sul palcoscenico che enfatizzano il talento canoro delle star titolari, ed una interprete protagonista (in questo caso, una pur brava ma scolastica Naomi Ackie) che impersona Whitney "The Voice" Houston restituendone le movenze e l'energia di superficie, senza però cimentarsi con la propria voce nell'esecuzione delle canzoni più celebri dell'artista americana, sfornando un passabile quanto rispettoso lavoro di lip-sync.
Di certo non basta la presenza scenica della sua interprete protagonista a fare di Whitney - Una voce diventata leggenda un film indimenticabile, anzi; il suo voler pedissequamente inseguire una formula strutturale e concettuale di biografia tramuta la pellicola diretta da Kasi Lemmons più in un'agiografia troppo compita e rispettosa del ritratto della talentuosa cantante nell'immaginario collettivo che in un racconto audace, senza filtri e compromessi. Anche stavolta, peccato.
Whitney - Una voce diventata leggenda debutta nelle sale italiane con Sony e Warner Bros. Pictures Italia a partire da giovedì 22 dicembre