Di Giuseppe Fadda
Alcarràs è un paesino rurale di cinquemila abitanti al centro della Catalogna. Questa località non dà solo l’ambientazione e il titolo al secondo lungometraggio della regista Carla Simón: è anche il posto da cui proviene la sua famiglia. E infatti Alcarràs è un film profondamente personale e questo non perché sia autobiografico, non lo è affatto, ma perché è personale il suo linguaggio. La cinepresa rivolge alla terra lo sguardo che si conserva per le cose o le persone amate e perse, uno sguardo che nel momento in cui si posa sul suo oggetto è già ricordo e nostalgia e che proprio per questo indugia su ogni dettaglio, sperando di poterlo conservare. L’aspetto forse più sorprendente di Alcàrras, il cui merito va tanto a Simòn quanto alla direttrice della fotografia Daniela Cajías, è proprio la sua capacità di catturare questa campagna imbevuta di sole con una tale vividezza da restituire un’esperienza quasi sensoriale. In questo senso, si tratta di un film personale nel modo migliore possibile, perché l’intimità che lega l’autrice e l’ambientazione non esclude lo spettatore, lo invita, lo rende partecipe. E la terra diventa un personaggio vero e proprio, a cui ci si avvicina e, gradualmente, ci si affeziona.