Di Gabriele La Spina
Dopo aver debuttato al Toronto International Film Festival nel 2014, con il titolo Shrew’s Nest (Il nido del toporagno), il film è arrivato nelle sale spagnole il giorno di Natale dello stesso anno, faticando a trovare una distribuzione sia per gli USA sia per l’Italia. Non sono stati però pochi i riconoscimenti del circuito dei premi in terra d’origine, ottenendo tre nomination ai premi Goya: per la Migliore Attrice Protagonista, il Miglior Esordio alla Regia e il Miglior Trucco.
Ambientato nella Spagna degli anni ’50, Musarañas è incentrato sulla vita di Montse, una donna affetta da agorafobia, che si isola dalla società rimanendo rinchiusa in un appartamento estremamente sinistro a Madrid. Il suo unico legame con la realtà è la sorella minore, soprannominata semplicemente La Niña, che alla mancanza dei genitori ha cresciuto come una figlia. Un giorno però il vicino di casa Carlos, dalla vita dissoluta, cade giù per le scale e ferito si trascina alla loro porta, la sua presenza sconvolgerà il loro equilibrio e porterà a galla segreti ormai sepolti da tempo.
L’esordiente Juanfer Andrés si fa affiancare alla regia da Esteban Roel, e realizza la sceneggiatura insieme a Sofía Cuenca, portando in scena un dramma dalle tinte macabre i cui personaggi richiamano inevitabilmente gli iconici protagonisti di romanzi poi divenuti film come Misery non deve morire (1990), dal romanzo di Stephen King, o il cult southern gothic di Don Siegel La notte brava del soldato Jonathan (1971). Impossibile quindi non fare un paragone tra la performance premiata con l’Oscar di Kathy Bates nei panni della psicopatica Annie, e quella di Macarena Gómez attrice spagnola di straordinario talento, che qui non sfigura di certo contro la veterana americana. Musarañas aggiunge però qualcosa di nuovo alle dinamiche delle pellicole già citate, con una sceneggiatura molto simile all’impostazione di una pièce teatrale, i cui punti di forza non sono altro che i personaggi: Montse, una donna afflitta dall’agorafobia, sofferente inoltre di un forte fanatismo religioso, il cui passato ha lacerato in modo irrimediabile la sua personalità; la giovane sorella (interpretata da una delicata Nadia de Santiago) oppressa dalle manie della maggiore, desiderosa di scoprire il mondo; e l’affascinante vicino, che a un certo punto rappresenterà la falsa ancora di salvezza per entrambe. Con un’atmosfera soffusa, quasi introspettiva, in una pellicola che oscilla con grazia dal dramma al tetro e al macabro, percorrendo delle tinte gore senza mai forzare la mano.
Si tratta senza dubbio di una piccola perla tra le produzioni spagnole contemporanee, sicuramente di difficile digestione per lo spettatore casual. Non ci sarebbe da stupirsi se nei prossimi anni un cineasta americano decidesse di realizzare il remake della suddetta pellicola, quello che mancherebbe però alla versione made in USA, sarebbe il respiro di quella verace quanto malinconica drammaticità che contraddistingue lo sguardo del Cinema spagnolo. Sarebbe difficile ritrovare inoltre la stessa lugubre malinconia degli occhi di Macarena Gómez in un’altra attrice. Infatti se Andrés ha il merito di aver dipinto e ben orchestrato una tematica già raccontata, ma stavolta resa in una modalità per certi versi più affascinante, tetra e quindi efficace, la Gómez sorregge la pellicola regalando al pubblico un personaggio dalle diverse sfaccettature, al limite della sanità mentale, cinico e crudele, nonostante questo il più fragile raccontato in Musarañas. Una pellicola da recuperare ad ogni costo, e che difficilmente dimenticherete.