Di Massimo Vozza
Il titolo, opera prima di Jim Archer, presenta un’estetica squisitamente indie, non proprio degna di nota ma perfetta per il Sundance Film Festival dove è stato presentato, che è l’ideale per inquadrare gli ambienti dell’ovest della Gran Bretagna e per raccontare l’intima storia di amicizia tra uomo e automa, contrassegnata sì da un tono leggero e da un sottile umorismo ma senza mai cadere nel ridicolo nonostante la situazione paradossale.
A non funzionare particolarmente (o probabilmente a funzionare troppo) è purtroppo la struttura di questa narrativa, solida quanto prevedibile, e la presenza di due cardini delle sceneggiature classiche: un villain e una romance. Soffermarsi solo sul narrare il rapporto privato tra i due protagonisti sarebbe stato decisamente più complesso ma anche più interessante, senza inserire quelle interferenze esterne che, così come presentate nell’opera finale, sembrano siano servite più che altro a dare movimento alla vicenda, allungandone di conseguenza la durata.
Certo, come in ogni storia la necessità di un conflitto è inevitabile e la decisione di raccontare quello tra cosmo e microcosmo, tra la realtà oltre il contesto rurale e questo contesto stesso, con la casa di Brian come fulcro e la televisione come unico specchio sull’esterno, resta comunque ottima seppur a un certo punto si sia finiti per andare un po’ fuori tema.
David Earl nel ruolo di Brian e Chris Hayward che dà la voce a Charles (qui anche sceneggiatori) regalano interpretazione buonissime, tra il cercare di strappare qualche risata e il trasmettere momenti di dolcezza sincera che valgano da sole il prezzo del biglietto.
VOTO: ★★★