Di Daniele Ambrosini
Conta su di me è un film estremamente manipolatorio che sembra costantemente forzare il percorso dello spettatore all’interno della sua storia. Rothemund non ha l’intenzione di accompagnare gradualmente lo spettatore all’interno del tour de force emotivo che mette su, come sarebbe più giusto fare, ma, al contrario, vuole imporre al pubblico ciò che dovrebbe provare o sentire in relazione agli eventi narrati. Non si è, per esempio, portati ad empatizzare con il piccolo David attraverso l’evoluzione della narrazione, ma si è costretti ad apprezzarlo tanto la sua caratterizzazione è portata avanti solo per eccessi: troppo infantile, ingenuo, gentile, dolce, e chi più ne ha più ne metta, per non piacere; Rothemund e compagnia te lo dicono subito: non serve che tu lo capisca, il protagonista ti piace. È così e basta. Il film nel suo complesso parla soltanto per assoluti, dando per scontate tante cose che invece dovrebbe prendersi il tempo di giustificare. Rothemund confeziona un film già masticato, in cui lo sforzo dello spettatore di (ri)elaborare ciò che succede sullo schermo è ridotto al minimo, in cui tutto è incredibilmente chiaro e intuitivo – o bianco o nero, nessuna sfumatura.
Basato su un romanzo a sua volta basato su una storia vera, Conta su di me tralascia tutti gli aspetti più propriamente umani del suo racconto per concentrarsi sull’effetto che la storia dovrebbe (o meglio, deve) avere sullo spettatore. Una commedia dal retrogusto amaro costruita per ispirare, far ridere e piangere lo spettatore e, infine, farlo stare meglio con sé stesso, ricordandogli che c’è sempre speranza di un miglioramento. Un film furbo che non si cura davvero dei suoi protagonisti, delle persone vere su cui il film si basa (che diventano solo oggetto del racconto), ma che punta i riflettori direttamente sui consumatori del prodotto. Un film ruffiano, aiutato, ma decisamente non salvato, da Elyas M’Barek e Philip Noah Schwarz, due protagonisti convincenti ed accattivanti, e da una rappresentazione veritiera e rispettosa della malattia; affossato da una regia al limite del televisivo ed una sceneggiatura fastidiosamente sciatta. Costruito sulla falsa riga del francese Quasi Amici, il film di Rothemund finisce per essere tutt’altra cosa.