Di Giuseppe Fadda
L’horror e la commedia nera sono sempre stati due generi compatibili, sin dalla loro nascita. Negli ultimi anni, grazie al contributo di Jordan Peele, sembra essersi riacceso l’interesse per le commedie horror che mettono in luce problematiche sociali, come Get Out e Noi. Finché morte non ci separi, diretto da Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett (registi dell’apprezzato horror Southbound), si pone sulla scia dei film sopracitati ma con una sostanziale differenza. Get Out e Noi mettevano in scena una vera e propria analisi sociale, allegorica e iperbolica ma visceralmente connessa alla realtà, di temi quali il sottile razzismo della società americana, anche tra le schiere apparentemente progressiste, e il modo in cui classismo influisce radicalmente sulla crescita delle persone.
Finché morte non ci separi non ha nessuna intenzione di fare un’analisi complessa e stratificata del tema di cui tratta: è l’equivalente di un semplice, spontaneo, diretto “f*ck you” alla convenzione sociale del matrimonio e all’abuso di potere da parte della classe dirigente. Infantile? Forse. Un po’ superficiale? Sì e no. Deliziosamente divertente e magnificamente dissacrante? Assolutamente sì.
Finché morte non ci separi non ha nessuna intenzione di fare un’analisi complessa e stratificata del tema di cui tratta: è l’equivalente di un semplice, spontaneo, diretto “f*ck you” alla convenzione sociale del matrimonio e all’abuso di potere da parte della classe dirigente. Infantile? Forse. Un po’ superficiale? Sì e no. Deliziosamente divertente e magnificamente dissacrante? Assolutamente sì.
Protagonista del film è Grace (Samara Weaving), una giovane donna con una complessa storia familiare, in procinto di sposarsi con Alex (Mark O’Brien), il rampollo della ricca famiglia Le Domas, che ha fatto la sua fortuna con i giochi da tavolo. Dopo le nozze, l’intera famiglia si riunisce nella loro villa per festeggiare gli sposi novelli. I presenti sono il fratello alcolizzato di Alex, Daniel (un bravo Adam Brody), accompagnato dall’altezzosa moglie Charity (Elyse Levesque), la sorella tossicodipendente Emilie (Melanie Scrofano) con il marito Fitch (Kristian Bruun), il padre Tony (Henry Czenry), la madre Becky (Andie MacDowell, deliziosamente perfida) e la glaciale zia Helene (Nicky Guadagni). La tradizione di famiglia vuole che tutti i membri, quando se ne aggiunge uno, giochino a qualcosa: l’ultima aggiunta (in questo case Grace) sceglie il gioco pescando una carta. Grace pesca nascondino, ignara di un piccolo dettaglio: in questa macabra versione del gioco, dopo la conta, la famiglia dovrà darle la caccia e ucciderla entro l’alba.
La premessa è indubbiamente assurda, ma fortunatamente sia i registi che gli sceneggiatori (Guy Busick e R. Christopher Murphy) ne sono perfettamente consapevoli. E infatti il film poggia proprio sulla sua assurdità, che diventa il suo punto di forza e il suo principale motivo di divertimento. La violenza è così pulp da essere al limite dell’inverosimile – il che gioca solo a favore della storia, perché una rappresentazione più realistica avrebbe compromesso il tono della storia così perfettamente equilibrato tra comicità, garantita da un copione astuto e brillante, e angoscia, garantita soprattutto da un montaggio serrato, dalla scenografia suggestivamente grottesca e dall’ottima interpretazione centrale. L’intero cast del film si adatta magnificamente al suo timbro tanto inquietante quanto demenziale, ma la riuscita dell’opera si deve in gran parte a Samara Weaving, che merita un posto d’onore tra le recenti protagoniste dell’horror insieme a Lupita Nyong’o in Noi e Florence Pugh in Midsommar. In realtà, rispetto alla Adelaide di Noi e alla Dani di Midsommar, Grace è un personaggio molto più limitato, in un certo senso è la final girl per antonomasia. Ma nonostante questo la Weaving riesce a creare un personaggio che risulti completo e commovente, specialmente quando le sue speranze di finalmente trovarsi a suo agio in una famiglia vengono distrutte. Ma, soprattutto, la sua è un’interpretazione fisica, viscerale, quasi animalesca: è la sua trasformazione da vittima sacrificale ad angelo vendicatore a rendere il finale del film un’esperienza così catartica.
Quello di Finché morte non ci separi non può essere definito, in tutta onestà, un commento sociale. E questo va benissimo, perché non è chiaramente nell’intenzione degli autori. Ed la bellezza del film sta proprio nel suo spirito giovane e arrabbiato, in quell’insieme di ferocia e sagacia che caratterizza il suo humor. E’ un film che ha degli ovvi confini, sia nella natura della trama stessa, che nella sua durata, che nel taglio che vuole dare al suo messaggio. Ma all’interno di questi confini, Finché morte non ci separi sa esattamente quello che vuole dire e quello che vuole essere. Ed è dannatamente divertente.
Voto: 7.5/10
Finché morte non ci separi uscirà nelle sale il 24 ottobre 2019.