Di Daniele Ambrosini
Liliana (Julia Stiles) torna nella sua città natale dopo la morte della madre ma la sua permanenza è ostacolata da Blackway (Ray Liotta), uomo che sembra avere il controllo dell’intera città. Le molestie di Blackway diventano insopportabili e quando decide di rivolgersi alla polizia, lo sceriffo la informa che non può aiutarla ma che forse qualcun altro può farlo. Così Lilian finisce in una segheria dove gli unici a non aver paura di Blackway sono Lester (Anthony Hopkins) ed il suo pupillo Nate (Alexander Ludwig). Inizia così la loro ricerca.
Daniel Alfredson, regista degli ultii due capitoli della saga di Millennium e fratello del ben più fortunato Tomas Alfredson (Lasciami Entrare, La Talpa), torna nei cinema italiani con Go With Me che sulla carta ha un buon cast e delle premesse interessanti. Peccato che il film sia un disastro completo. L’inizio in medias res dovrebbe introdurci con più facilità all’interno della storia e dell’atmosfera del film e per qualche minuto sembra anche funzionare, infatti è all’inizio che il thriller di Alfredson regala qualche scossone, però già dopo qualche scena questa scelta non paga più perchè tutto ciò che non ci è stato mostrato ci viene spiegato attraverso i dialoghi, con battute didascalihce e forzate che hanno il solo scopo di informarci di ciò che non abbiamo visto. La commistione tra thriller e road movie alla lunga stanca e soprattutto non è sempre comprensibile cosa muova realmente i protagonisti alla ricerca di Blackway quando avrebbero semplicemente potuto aspettarlo a casa di Lilian, quasi tutto il film è un viaggio alla sua ricerca ed è uno degli elementi che contribuiscono maggiormente a renderlo davvero noioso perchè i tre non hanno alcun argomento di conversazione al di fuori di Blackway. Il nome “Blackway” poi è davvero abusato, il personaggio di Liotta viene nominato ogni due o tre battute.
In realtà parte delle motivazioni che muovono i personaggi ci sono mostrate nella seconda parte del film dove il regista decide di raccontarci ciò che è successo prima dell’inizio del film in un modo diverso: non sono più i dialoghi a spiegarci cosa ci siamo persi ma un paio di sbrigativi flashback.
Uno dei flashback ci racconta il primo incontro tra Lilian e Blackway ed il secondo ci mostra un incontro tra Lester e Blackway in un giorno molto particolare per il personaggio di Hopkins. Entrambi hanno una loro utilità all’interno dell’economia della storia ma arrivano così tardi da risultare poco interessanti e soprattutto forzati mentre sotto i nostri occhi il mistero intorno a Blackway si dipana lentamente ed in modo sempre più scontato. Il finale veloce e poco incisivo non aiuta a completare il quadro di un film inutilmente lento, noioso ed anche pretenzioso.
Il problema maggiore è legato alla sceneggiatura scritta da Joseph Gangemi e Jeremy Jacobs che è piena di difetti ed è francamente indifendibile; la regia resta anonima per buona parte del film; mentre la fotografia non è completamente da buttare, complice l’ottima ambientazione che crea una buona atmosfera ma, ovviamente, non è abbastanza per salvare il film; Il montaggio è grossolano e confuso, un occhio allenato noterà anche qualche errore evitabile di tanto in tanto.
Il cast non è dei peggiori ma nessuno brilla particolarmente, meno che mai Anthony Hopkins relegato ad un ruolo piatto a cui neanche il suo carisma può aggiungere qualcosa.
Un film dimenticabile e francamente brutto che sarebbe stato più adatto ad un’uscita direct-to-video che ad una distribuzione cinematografica.
VOTO: 1.5/5