Kinds of Kindness

Kinds of Kindness, la recensione del nuovo film di Lanthimos

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Di Simone Fabriziani

In occasione della sua presentazione in anteprima mondiale in contemporanea al 77° Festival di Cannes, abbiamo avuto il piacere di vedere Kinds of Kindness, nuova ed attesissima opera cinematografica diretta dal candidato all’Oscar Yorgos Lanthimos che arriverà nelle nostre sale dal prossimo 6 giugno con Searchlight Pictures, a distanza di nemmeno sei mesi dal debutto al cinema di Povere Creature.

Emma Stone e Joe Alwyn in una scena del film – fonte: Searchlight Pictures

Di cosa parla il criptico film? La nuova pellicola del maestro greco è un vero e proprio trittico di fiabe contemporanee suddiviso in tre racconti apparentemente senza legame narrativo: nella prima storia un uomo senza scelta che cerca di riprendere il controllo della propria vita; nel secondo capitolo un poliziotto è sconvolto perché la moglie, che era scomparsa in mare, è tornata e sembra essere diventata un’altra persona; ed infine, nel tasseolo finale di quello che a tutti gli effetti è un lungometraggio antologico, una donna è determinata a scovare una persona in particolare, destinata a diventare una prodigiosa guida spirituale.

Emma Stone in una delle scene iconiche del trailer – fonte: Searchlight Pictures

Forse il film più lungo diretto fino ad ora da Yorgos Lanthimos (2 ore e 45 minuti circa), Kinds of Kindness è il ritorno alle ossessioni primigenie del cinema del regista e sceneggiatore che non ti aspetti. Perché non c’era momento migliore nella carriera del cineasta europeo per proporre ai suoi spettatori sempre più affezionati una marcia indietro cinematografica così brutale; intenzionato a non rimanere appannaggio dello straordinario successo di critica di pubblico internazionale dopo i premi e le candidature ricevuti da gli ultimi La Favorita e Povere Creature, Lanthimos firma un racconto tripartito dal taglio essenziale e violento, basato su uno script originale ideato dallo stesso assieme al sodale Efthimis Filippou (con lui aveva dato difatti alla luce titoli come Dogtooth, The Lobster e Il sacrificio del cervo sacro) e tradisce le aspettative più rosee dei suoi aficionados dell’ultima ora riproponendo temi, linguaggi e ossessioni che avevano reso distinguibile il suo cinema primitivo.

Impossibile entrare nel dettaglio di ogni singolo racconto, ma qui Lanthimos traccia un’ambizioso trittico per grande schermo di totale e coraggiosa libertà artistica e di contenuti, già lontanissimo dai più quadrati film che lo hanno preceduto (scritti difatti da Tony McNamara), inaccessibile, multistratificato, strabordante di idee, di provocazioni, di stimoli, di domande più che di risposte. Una riflessione sui rapporti di potere tra gli individui della società contemporanea sconcertante e felicemente in linea con la respingenza che aveva reso il cineasta greco una delle voci più interessanti della sua generazione, qualche anno fa.

Un ritorno alle origini per il cinema di Yorgos Lanthimos spiazzante ed iper-codificato di cui ne sentiremo probabilmente parlare per ancora molto tempo. Con un cast corale impeccabile sorretto però da una (triplice) prova d’attore di Jesse Plemons semplicemente da trofeo.

VOTO: 4/5


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