Di Simone Fabriziani
Vorrei premettere a chi leggerà questa recensione che analizzare a mente fredda questo nuovo film del buon Paolo Sorrentino non è opera facile; ci troviamo forse di fronte alla sua pellicola più ambiziosa, strabordante, assordante, incoerente e più lunga (ben 142 minuti), un collage infinito di personaggi a loro volta incoerenti, grotteschi, vivaci e peculiari, il vero e proprio cuore pulsante della Roma immobile e monumentale che Sorrentino inquadra con maestria.
Jep Gambardella (un magnetico Toni Servillo) a 26 anni parte dalla sua natia Campania per trasferirsi a Roma grazie all’esaltante successo ottenuto dal suo unico romanzo scritto in gioventù, “L’Apparato Umano”; oggi Jep è un giornalista stanco, annoiato, un Re dei mondani che vive nel suo attico di fronte ad un monumentale Colosseo come un vampiro: di notte sempre una festa volgare, cafona, esagerata ed indifferente, di giorno i suoi occhi curiosi vagano lentamente tra scorci ed angoli di una Capitale assolatissima e dai ritmi lenti e cullanti, come il fiume Tevere protagonista dei memorabili Titoli di Coda del film. Tra feste folli ed incontri singolari, Jep farà la conoscenza della figlia di un vecchio amico, Ramona (Sabrina Ferilli) che riporterà il protagonista ad una lenta e malinconica presa di coscienza di una giovinezza passata contraddistinta dall’amore per una ragazza che non tornerà mai più…Continua
“La Grande Bellezza” è un film straordinariamente atipico nella carriera artistica di Sorrentino; è vero, la macchina da presa plana a volo d’uccello più di una volta ad abbracciare le maestosità antica ed immobile della Roma antica solo come il regista campano sa fare (menzione speciale va al Direttore della Fotografia Luca Bigazzi, il vero e proprio artefice della “grande bellezza” visiva della pellicola), è anche vero che la galleria incessante di ritratti umani al limite del grottesco (su tutti la figura del Cardinale appassionato di cucina di Roberto Herlitzka e la “Santa” Suor Maria) sia il prodotto matematico della cifra stilistica propria di Sorrentino, eppure il prodotto finale sembra allungarsi all’infinito, in un gioco (non) narrativo che pare ruotare attorno a se stesso, senza apparente via di scampo o risoluzione della problematica del protagonista. Se è dunque vero che la “Grande Bellezza” del titolo è quella celata all’occhio dello spettatore nelle prime luci dell’alba su di un magnifico cielo romano dopo il “cafonal” vortice delle feste mondane vampire, lo stesso non si può dire per i protagonisti della pellicola perchè “Roma lo ha deluso“, cosi dice Romano (un tragicomico Carlo Verdone) al suo grande amico Jep un momento prima di fuggire dalla Capitale e tornarsene nel suo paese natio, la sua Itaca, vero contenitore dei sui affetti più cari, forse di un amore non corrisposto e ancora in sospeso; non come a Roma, una città che “fa perdere tempo” come dice Jep, una città che lo fa sentire vecchio di cui non trova più la “Grande Bellezza” che fin dalla gioventù aveva sempre cercato di catturare con il suo occhio acuto di giornalista…
“La Grande Bellezza” è in definitiva l’opera più ambiziosa e allo stesso tempo più incoerente di Paolo Sorrentino, una pellicola contraddittoria che rifugge dai classici stilemi narrativi di un inizio, una problematica e una risoluzione finale, un’opera filmica più vicina alla sensibilità di un altro grande del cinema contemporanea, Terrence Malick, in cui è la Natura ad essere la maestosa cornice indifferente ma bellissima delle commedie umane; un film che lavora (in)coscientemente su due livelli chiave di lettura, l’uno la graffiante satira di una società la nostra sull’orlo del declino, l’altra sull’impossibilità di recuperare il tempo perduto, sulla paura di fare i conti con se stessi alla fine di una vita in lento declino come quella di Jep, enigmatica figura che nel vortice della mondanità moderna ha perso la bussola, il senso vero della vita, la “grande bellezza” che anche noi al giorno d’oggi continuiamo e continueremo a cercare ma che forse abbiamo già trovato ma ce ne siamo dimenticati.
VOTO 3/5