Di Daniele Ambrosini
Claudio Noce trae ispirazione dalla sua vita privata e dalla complicata situazione familiare vissuta sotto gli anni piombo per realizzare Padrenostro, il primo dei quattro film italiani in concorso ad essere presentato alla Mostra del Cinema di quest’anno. Il film che Noce dedica a suo padre è un film atipico e particolare, ma anche un po’ goffo e ingenuo, un film non riuscitissimo, ma anche molto sentito.
Protagonista della storia è Valerio, un bambino che un giorno del 1976 assiste ad un attentato terroristico da parte di estremisti di sinistra ai danni di suo padre e alla sua scorta. Il padre si salva per miracolo, ma da quel momento la loro vita della famiglia si fa ancora più complicata, soprattutto per il piccolo Valerio che si porterà dietro l’eco di quella scena e vivrà nella paura costante di perdere suo padre. Arriva l’estate e la famiglia va in Calabria per passare le vacanze, per cambiare aria e per allontanarsi dalla pericolosa Roma, lì Valerio viene raggiunto da Christian, un ragazzo misterioso e più grande di lui, conosciuto poco prima, che è in breve tempo diventato il suo migliore amico.
Padrenostro è un film dalla doppia anima, da una parte è un film di formazione, dove il punto di vista del piccolo Valerio è quello principale, quello attraverso il quale viene filtrato l’evento principale del film, quell’attentato che è il motore dell’azione, e dall’altra è un thriller, nel quale la tensione viene costruita piano piano per far sì che il senso di pericolo sia costante e che il pubblico abbia paura di una nuova ritorsione imminente, così come la hanno i protagonisti. Ma bisogna dire che le due cose non sempre vanno perfettamente a braccetto. Soprattutto perché nella seconda metà il veicolo che unisce questi due elementi è Christian, l’ambiguo ragazzo dal passato inconoscibile che si avvicina a Valerio, un personaggio sfocato, la cui costruzione è affidata ad un inganno, ad un gioco di percezioni non proprio riuscitissimo.
La volontà di inserire un colpo di scena che rivoluzioni il film e renda più evidente quanto l’elemento formativo del racconto vada di pari passo con il contesto storico, con l’elemento thriller di cui sopra, è ben comprensibile, ma allo stesso tempo quel colpo di scena finale non solo non è perfettamente riuscito, è anche un po’ forzato, dettato da esigenze narrative, sì comprensibili, ma allo stesso tempo aggirabili. Padrenostro funziona meglio laddove si fa film di relazione, piuttosto che di intrighi, perciò stupisce l’importanza che viene data al secondo elemento quando si tratta di andare a tirare le fila di un discorso, che mantiene una sua valenza, ma la annacqua con un sensazionalistico elemento d’intrattenimento.
Ma, nonostante tutto, Padrenostro resta un film interessante per lo sguardo gentile con il quale Claudio Noce racconta il suo giovane protagonista, per il contesto realistico nel quale lo inserisce, per tutte quelle piccole cose che rendono il suo racconto di formazione veritiero, ma soprattutto sentito. Per quanto l’impianto narrativo non funzioni benissimo, o meglio, prenda qui e lì direzioni ingenue e poco soddisfacenti, ciò che tiene in piedi il film è il suo grande cuore. Perché laddove Lacci, l’altro italiano di peso visto di recente a Venezia, tendeva ad essere emotivamente forzato, Padrenostro appare sincero, laddove il film di Luchetti sembra un’operazione puramente intellettuale, quello di Claudio Noce sembra dettato da un’esigenza narrativa che lo porta a commettere la sua dose di errori, ma lo tiene sempre e comunque a galla.
Pierfrancesco Favino, il cui nome capeggia a caratteri cubitali sui poster del film, è in realtà un interprete di supporto, e pur facendo bene, forse, non fa neanche benissimo, almeno rispetto al suo solito. Chi invece sorprende sono la fin troppo poco conosciuta e apprezzata Barbara Ronchi, il giovane protagonista Mattia Garaci, ma soprattutto Francesco Gheghi, visto l’anno scorso in Mio fratello rincorre i dinosauri, che qui ha a che fare con un personaggio non proprio eccezionale sulla carta, che riesce a fare suo e al quale dona molta personalità. Ci fossero più ruoli di spessore per interpreti della sua età in Italia, avrebbe tutte le carte in regola per diventare il Timothée Chalamet nostrano.