TURNER- La Recensione

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Di Simone Fabriziani

“Il Sole è Dio.”
Cosi sembra aver pronunciato il genio della pittura inglese J M W Turner nel suo letto di morte prima di spirare in una modesta casa sulle rive del fiume Tamigi alle porte della città di Londra nel Dicembre del 1851; quasi un testamento spirituale del più grande segreto per la ricetta della genialità artistica del più grande pittore ed incisore britannico di tutti i tempi che il cineasta veterano del cinema inglese Mike Leigh ci racconta con la sua sua solita attenzione ai profondi moti dell’animo umano nella loro veste più privata.
William Turner è all’apice della sua notorietà e della sua fruttuosa vena artistica; nobili, ricchi mercanti d’arte, famiglie benestanti, re e regine gli commissionano splendidi quadri rappresentanti panorami mozzafiato e impetuosi eventi naturali da appendere nei loro lussuosi saloni; nel corso di questo virtuosismo artistico il pittore britannico deve vedersela con i problemi economici che la ex moglie e le figlie sollevano con irritante frequenza, con la malattia ai polmoni dell’anziano Turner senior e con la gestione dei sentimenti, amorosi per una anziana signora della cittadina balneare di Margate (luogo tra i più prediletti da Turner per le sue più celebri composizioni marine), sessuali invece per la domestica di casa Turner, sorella della sua prima moglie.
La contraddittorietà del personaggio Turner, dapprima burbero e scontroso, poi sensibile ed accomodante, è straordinariamente narrata dalla mano sicura del britannico Mike Leigh, uno dei massimi esponenti del cinema inglese contemporaneo e veterano per eccellenza nel saper raccontare grandi storie di umanità disparate, a volte in piena contraddizione con la società in cui esse si svolgono, con una predilezione per i piccoli drammi interiori che si risolvono in piccoli grandi spazi sia narrativi che fisici, come le cucine di casa o i salotti, da sempre luoghi-cornice di tanti rapporti conflittuali e di condivisione.

TURNER è dunque un biopic atipico in un certo senso; rifugge volutamente la tipica struttura narrativa della crescita fisica ed artistica del protagonista in ordine puramente cronologico o con l’uso (ed abuso ahimè nel cinema contemporaneo) di flashback spezza dinamicità, niente di tutto questo: Mike Leigh ci accompagna nella conoscenza del più ammirato pittore di paesaggi britannico indugiando nella cucina di casa, ascoltando i borbottii dell’artista come assensi o dissensi sulla società del tempo che parlano più mille, vuote parole, osservando assorti nella accecante luce della finestra del suo studiolo il pittore all’opera, o semplicemente assistendo divertiti al raffrontarsi di Turner con i suoi colleghi pittori del tempo in sale colme di strabilianti quadri di paesaggi e ritratti.
Il film è essenzialmente l’ennesimo dramma privato che si consuma più dentro le mura di case e gallerie che non nei pur mozzafiato paesaggi della Inghilterra rurale e selvaggia che solo il grande pittore riusciva ad immortalare, in un gioco narrativo che molto poco dice allo spettatore circa il passato dell’artista ma che molto invece ci rivela grazie agli impagabili sguardi e brontolii di un Timothy Spall maiuscolo, giustamente premiato al Festival di Cannes con la Palma d’Oro all’Attore, in un viaggio privato alla scoperta di uno dei più influenti ma allo stesso tempo contraddittori geni artisti di tutti i tempi, un maestro della luce che che nel suo mistero riusciva a vedere Dio nel Sole, e a catturarlo grazie ai suoi ingegnosi pennelli.

VOTO: 3/5


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