Una giusta causa – La recensione del film biografico con Felicity Jones

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Di Anna Martignoni

È il 1956 quando Ruth Bader Ginsburg viene accettata, insieme a poche altre ragazze, alla prestigiosa facoltà di giurisprudenza dell’Università di Harvard. Laureatasi a pieni voti, la Bader Ginsburg ha però difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro, poiché tutti gli studi legali in cui fa domanda non ammettono donne nei loro uffici. La giovane accetta così di insegnare legge all’università: per molto tempo si divide tra lavoro e famiglia fino a quando, grazie anche al marito avvocato, Ruth troverà l’occasione di riscatto personale portando in aula un caso di discriminazione nei confronti di un uomo. 
A nove anni da The Code, Mimi Leder torna dietro la macchina da presa con Una giusta causa, film biografico sulla leggendaria figura di RBG, alias Ruth Bader Ginsburg (Felicity Jones), magistrato statunitense e giudice della Corte Suprema che per tutta la vita ha combattuto per l’uguaglianza di genere e per i diritti delle donne. Figlia di genitori ebrei immigrati dalla Russia, Bader Ginsburg è tra le nove ragazze accettate al corso di legge di Harvard dove – a metà degli anni cinquanta – le aule sono frequentate quasi esclusivamente da uomini. Dotata di grande spirito di iniziativa, la giovane non si lascia intimidire e mostra ai colleghi quanto vale divenendo la prima della classe. In seguito, quando il marito Martin (Armie Hammer) è costretto a trasferirsi a New York per lavoro, Ruth lo segue con la figlia di appena cinque anni e prosegue gli studi presso la Columbia University fino al conseguimento – ça va sans dire – a pieni voti della laurea. Ecco quindi che inizia per Ruth la ricerca di un posto di lavoro: non dovrebbe essere difficile visti l’arguzia della donna e le rispettose lettere di raccomandazione di alcuni dei suoi professori; ma proprio nella città più ricca di opportunità, la giovane affronta sulla propria pelle la prima grande discriminazione dettata dal suo sesso: i prestigiosi studi legali presso cui presenta domanda di lavoro le chiudono la porta in faccia solo perché è una donna, e quindi più adatta a mansioni di segretaria o, meglio ancora, di moglie di un avvocato.

Dopo l’ennesimo rifiuto, Ruth è costretta ad accettare la cattedra di processo civile alla Rutgers University, rinunciando per molto tempo al sogno di partecipare attivamente ai processi nelle aule di tribunale. Con un astuto salto temporale, la regista catapulta lo spettatore nel vivo degli anni Settanta, epoca in cui avvengono due fatti fondamentali per la svolta professionale della Ginsburg: in primo luogo, l’incontro con la tenace avvocato progressista Dorothy Kenyon (Kathy Bates) la quale non mancherà di fornire supporto alla più giovane collega; in secondo luogo, la scoperta insieme al marito Martin di un caso che potrebbe rivoluzionare il sistema giuridico praticato fino a quel momento nell’ambito di quelle che dovrebbero essere le pari opportunità: un uomo non sposato che accudisce la madre malata non riceve alcun sussidio dallo Stato solo perché è un uomo, e solitamente tale sostegno economico veniva fornito esclusivamente alle donne. Ecco allora che si presenta ai Ginsburg l’occasione per creare un precedente che metta in discussione una legge che favorisce la discriminazione tra sessi. La preparazione dell’arringa presenta non pochi ostacoli, tanto che la Ginsburg decide di chiamare in suo aiuto tre amici professionisti del settore che si fingano giudici, tra cui spicca l’esuberante Mel Wulf (Justin Theroux). Tra alti e bassi si giunge infine nell’aula di tribunale dove la Ginsburg avrà finalmente la possibilità che le era stata negata per tutta la vita, quella di misurarsi come avvocato davanti alla Corte. 

Una giusta causa giunge nelle sale cinematografiche in un momento storico cruciale, nel quale le donne di tutto il mondo e di ogni classe sociale si stanno battendo sempre di più per le pari opportunità tra sessi, rivendicando quelli che sono i loro diritti. In questo senso, il film della Leder si aggiunge al movimento presentando la biografia di una donna straordinaria che ha fatto molto per il suo Paese ottenendo importanti riconoscimenti. Ma se i fatti raccontati nella pellicola hanno dell’incredibile, non altrettanto si può dire di alcuni elementi tecnici del film. In primis, la regia risulta abbastanza piatta, a tratti monotona; la sceneggiatura che la sorregge, ben ritmata e interessante nel racconto degli anni universitari e i primi nella Grande Mela, subisce una battuta d’arresto durante la preparazione dell’arringa a causa dei dialoghi eccessivamente lunghi e si blocca nella fase finale in tribunale, dove le aspettative dello spettatore verso un dibattito acceso e sostenuto vengono totalmente disattese. Felicity Jones si dimostra all’altezza del suo ruolo, così come Justin Theroux, ma vengono abbandonati lungo il percorso da Armie Hammer, il quale risulta per una buona parte del tempo impacciato e talvolta spaesato. 
Una giusta causa uscirà in sala a partire dal prossimo 28 marzo tramite una distribuzione Videa. 
VOTO: 6,5/10


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