Venezia 75: Tramonto – La recensione del nuovo film del premio Oscar László Nemes

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 Di Daniele Ambrosini

Dopo il clamoroso successo ottenuto con la sua opera prima, quel Il figlio di Saul che gli fece ottenere il Gran Prix a Cannes e l’Oscar al miglior film straniero, l’ungherese László Nemes era atteso al varco, e le aspettative molto alte nei confronti della sua seconda prova dietro la macchina da presa non sono state disattese.
Ambientato nella Budapest degli anni ’10, il film segue le vicende di Irisz Leiter, una giovane donna che torna nella capitale dell’allora Impero Austroungarico, dopo un periodo passato a studiare moda e sartoria a Trieste, per ottenere un posto di lavoro come modellista nella fabbrica di cappelli che un tempo apparteneva alla sua famiglia. L’attuale proprietario, il signor Brill, conscio del momento particolarmente delicato, è restio a concedere a Irisz la possibilità di restare, ma ben presto si affeziona a lei. Il ritorno in fabbrica per Irisz rappresenta soltanto una scusa per poter ricercare il fratello Kàlmàr, che vive in disparte nei bassifondi della città, temuto da tutti, in seguito ad un misterioso ed efferato atto criminale.

Tramonto è un film sulla ricerca, la sua protagonista è costantemente in movimento alla disperata ricerca di una verità nascosta, ben più complessa e pericolosa di quanto possa immaginare, che la porta a compiere atti impulsivi e sconsiderati. C’è un velo di mistero che il film non perde mai, neanche nell’ultimissima inquadratura, a rendere speciale e difficoltosa questa ricerca che il pubblico è chiamato a condurre insieme alla protagonista, perché nel film di Nemes non tutti i fugaci indizi lasciati dall’autore si incastrano alla perfezione o in maniera univoca tra di loro, e questa necessità di interpretare e ricostruire ne costituisce valore aggiunto. La sceneggiatura di Nemes non lascia nulla al caso, è costruita in maniera intelligente ed intrigante, secondo un interessante parallelismo tra la storia privata della sua protagonista e quella della sua città, quella Budapest che  emerge sempre più come una città corrotta quanto più l’oscuro segreto che circonda la storia dei Leiter viene svelata. 

Dal punto di vista registico Nemes realizza un’opera sontuosissima, costruita interamente intorno alla sua protagonista: Irisz è il centro di tutto e il suo è l’unico punto di vista che il regista adotta per tutta la durata del film grazie al sapiente utilizzo di soggettive e di inquadrature, realizzate con macchina a mano, alle spalle della protagonista alternate a fugaci ed intensissimi primi piani. Le inquadrature che non comprendano la presenza di Irisz, anche solo a fare da sipario, si contano sulle dita di una mano perché lei, la sua presenza fisica costante, costituisce l’unica sicurezza alla quale aggrapparsi nel corso della pellicola. Eleganti e spesso impercettibili piani sequenza completano il quadro di una regia quasi sublime, estremamente estetizzante. Il film è girato interamente in pellicola, il che gli conferisce una consistenza unica e dei colori pieni e caldi, erano anni che la pellicola non ci regalava risultati simili, dal retrogusto dolceamaro, che rievocano una modalità di fare cinema che sembra appartenere al passato.

C’è un senso di irrisolto alla fine di Tramonto che francamente si fatica a capire se sia interamente positivo, specie alla luce di quell’ultimo fotogramma prima dei titoli di coda che sembra suggerire tutt’altra storia ed un’evoluzione del personaggio di Irisz quantomeno inaspettata. Ciononostante è innegabile che il film di Nemes sia un’esperienza visiva totalizzante e pienamente riuscita, portata avanti con cura e dedizione da uno dei registi e sceneggiatori più promettenti (ed importanti) del panorama cinematografico mondiale, per lui la sfida del secondo film è ampiamente superata.


VOTO: 8/10

 


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