Il cinema di Yorgos Lanthimos – come i suoi film sono collegati

Seguici anche su:
Pin Share

Di Gabriele La Spina

Ormai celebre tra il grande pubblico per The Lobster, che gli è valso la sua prima nomination all’Oscar per la sceneggiatura nel 2017, il regista greco Yorgos Lanthimos si è affermato negli ultimi anni come uno dei più interessanti registi europei di oggi. Complici del suo successo le tematiche nonché i soggetti delle sue pellicole, inusuali e imprevedibili, ma superate le situazioni grottesche messe in scena dal regista, la sua filmografia nasconde un filo logico ben preciso, specchio delle tensioni sociali del suo paese e testimonianza della perdita di certezze dell’uomo contemporaneo.


Risale al 2001 il suo esordio alla regia con la commedia O kalyteros mou filos, distribuito fuori dalla Grecia con il titolo My Best Friend, in co-direzione con l’attore Lakis Lazopoulos, una pellicola che ha dato inizio alla carriera di Lanthimos, prima regista di videoclip, che solo nel 2005 con il suo film successivo da lui unicamente diretto avrebbe però cominciato a elaborare la sua incredibile poetica cinematografica. Kinetta è infatti definibile come il vero esordio di Yorgos Lanthimos, il film segue le vicende di un impiegato statale, un fotografo e una cameriera; che nel tempo libero ricostruiscono cinematograficamente scene violente in cui delle donne sono rimaste uccise. Nel 2009, con Kynodontas, meglio conosciuto come Dogtooth, racconta di una famiglia con tre figli che non hanno mai oltrepassato i confini del giardino di casa, in pieno isolamento, seguiti solo dai loro genitori e in totale assenza di contatti con il mondo esterno. In Alps nel 2011, parla di un gruppo di quattro persone: un’infermiera, un paramedico, una ginnasta e il suo allenatore; che offrono un supporto particolare alle famiglie che hanno perso i propri cari, sostituendoli. 
Un percorso filmico che potrebbe essere identificato come “la trilogia dell’evasione”, perché tralasciando l’elemento della distopia nelle sue pellicole sempre ambientate in un periodo temporale indefinito, sono i suoi outsider a rappresentare la vera essenza del suo messaggio. Vittime dello straniamento di una società della quale non si sentono parte, escogitano ogni modo per evadere da un mondo sempre più convenzionale. Se in Kinetta i protagonisti, ossessionati dal controllo delle azioni altrui e proprie, entrano in una spirale autodistruttiva, in Kynodontas i due genitori protagonisti isolano e indottrinano i figli fino a danneggiarli, in Alps, invece, l’evasione è ricercata nelle vite degli altri. Il corpo, il linguaggio e infine la personalità; sono i tre elementi analizzati da Lanthimos, soluzioni alla fuga da una società che sempre meno rappresenta l’individualità (motivo per cui i personaggi non hanno quasi mai un nome proprio oltre quello dei loro impieghi), ma che alla fine risultano ognuna di loro fallimentare. 
Nella sua ultima pellicola però la narrazione viene ribaltata: The Lobster, ambientato anche stavolta in un futuro imprecisato, ci porta in un mondo dove le persone single vengono arrestate, trasferite in un hotel e obbligate a trovare un compagno nell’arco di 45 giorni. Qualora ciò non accada, i single vengono trasformati in un animale di loro scelta ed abbandonati nelle foreste. In questo contesto, un uomo disperato sfugge dall’albergo e si rifugia nel bosco, dove vivono i Solitari, e si innamora, infrangendo ogni regola. Qui è la voracità della società stessa ad essere raccontata, che secondo Lanthimos sarebbe destinata a un sempre più estremo cinismo. Apice registico e narrativo della sua carriera, The Lobster rielabora il dark humor caratteristico delle sue precedenti pellicole, nascondendo una poeticità romantica mai esplicata prima. I reietti di Lanthimos sono adesso eroi che remano contro un sistema ottuso e un’umanità spietata, perendo per le sue regole. L’analisi dell’essere umano inconsapevole vittima dell’indottrinamento sociale, lascia pian piano spazio all’anatomia dell’amore.


Da qualcuno definito come nuovo grande esponente del metacinema, da altri pretensioso e sopravvalutato, Yorgos Lanthimos è un regista di rara intelligenza, che accoppia l’invidiabile ricerca narrativa delle sue sceneggiature, spesso scritte insieme al fedele collaboratore Efthymis Filippou, a l’eccelsa estetica dell’immagine, a volte mirata al minimalismo quasi geometrico. Se la follia dei suoi personaggi è forse il risultato di un paese, la Grecia, da tempo in un periodo di tensione e generale depressione, il suo messaggio è di critica agli errori inconsapevolmente perseverati dall’uomo moderno, in preda a un vero e proprio sonno della coscienza.

Nel 2017, Lanthimos sarà nelle sale con The Killing of a Sacred Deer, una pellicola di cui sappiamo ancora ben poco oltre che sarà la storia di un carismatico chirurgo costretto a fare un sacrificio impensabile, quando la sua esistenza inizia a cadere a pezzi a causa del comportamento sempre più sinistro dell’adolescente che ha preso sotto la sua ala protettiva. Colin Farrell che tornerà a essere il suo protagonista ha però anticipato l’imprevidibilità del progetto rivelando durante un’intervista che «leggere la sceneggiatura è stato snervante e ho sentito nausea dopo averla finita.». Un progetto che attendiamo con molta ansia, e che sarà seguito dal primo film in costume del regista, The Favourite, biopic sulla regina Anna di Gran Bretagna, e dalla sua incursione televisiva con On Becoming a God in Central Florida