Di Redazione
Marcello Fonte in “Dogman” di Garrone. |
Simone Fabriziani: Il 2018 al cinema appartiene alle donne e ai volti veri, quasi neorealisti della recitazione dei non professionisti. Le performance che colpiscono dritto al cuore all’imbrunire di quest’anno sono state quelle soprattutto provenienti dall’Italia. Impossibile dimenticare il “candido” contemporaneo di Lazzaro felice di Alice Rohrwacher, interpretato magistralmente dallo spigoloso ed emblematico volto del giovane senza esperienza cinematografica Adriano Tardiolo, senza dimenticare l’ormai iconico e premiato Marcello Fonte nel Dogman di Matteo Garrone, sguardo d’altri tempi per un cinema sempre più raro oggigiorno. Anche le grandi donne hanno illuminato il panorama del cinema annuale, a partire dalla straordinaria parabola di sofferenza e semplicità dello sguardo mesto di Yalitza Aparicio, splendida tata Cleo nel capolavoro autobiografico Roma di Alfonso Cuaròn, tallonata dall’ensemble più scoppiettante del 2018: Olivia Colman, Rachel Weisz e Emma Stone sono fuochi d’artificio attoriali in La favorita di Yorgos Lanthimos; nel grottesco film in costume dell’autore greco le tre interpreti sono al massimo delle loto capacità recitative, regalando allo spettatore forse il miglior trittico performante sul grande schermo del 2018. Menzione d’onore: l’irresistibile coppia on the road Viggo Mortensen/Mahershala Ali in Green Book, dramedy diretta da Peter Farrelly.
Giuseppe Fadda: Tra le performance di quest’anno, forse nessuna si è distinta più di quella di Nicole Kidman in Destroyer di Karyn Kusama, in cui l’attrice si trasforma per regalare una performance brutale, intensa e viscerale. La sua Erin Bell è un’antieroina imperfetta, sgradevole e persino alienante eppure il ritratto della Kidman, colmo di amara consapevolezza, è straziante. Altrettanto memorabile, e completamente diversa, è l’interpretazione di Willem Dafoe in Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità. L’attore riesce a catturare il tormento, la follia ma anche e soprattutto il genio del pittore olandese senza cedere mai a sentimentalismi. E’ una performance straordinaria e ricca di sfaccettature in cui risiede la poesia del film. Tra le prove più sottovalutate, c’è sicuramente quella di Alessandro Nivola nel bellissimo Disobedience di Sebastiàn Lelio: l’attore trasmette tutte le complessità di un ruolo che, nelle mani di un altro attore, avrebbero potuto essere un mero villain. Grazie all’introspettivo approccio di Nivola, il personaggio di Dovid è tanto toccante quanto quelli di Ronit ed Esti. Degna di menzione è anche l’interpretazione di Ethan Hawke in First Reformed, un crescendo di emozioni sottese che culminano in un finale dalla potenza devastante. Per quanto riguarda il cinema italiano, le performance che si sono distinte di più sono quelle del camaleontico Alessandro Borghi, straziante nel ruolo di Stefano Cucchi in Sulla mia pelle, e della meravigliosa Elena Sofia Ricci, che in Loro di Paolo Sorrentino ci restituisce un ritratto tridimensionale, intimo e profondamente umano di Veronica Lario.
Willem Dafoe in una scena di “Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità”. |
Daniele Ambrosini: Questo è stato un anno ricco di gradite sorprese e le migliori performance sono tutte arrivate da prodotti in grado di sorprendere, ad opera di attori in grado di superare sé stessi o i limiti imposti dal proprio personaggio. In ambito cinematografico sono due le interpretazioni che mi hanno colpito maggiormente: Willem Dafoe in Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità e Rachel McAdams in Disobedience. Il primo ha offerto una delle migliori prove d’attore degli ultimi anni, riuscendo ad indossare gli ingombranti panni del pittore olandese con una naturalezza sconvolgente e a restituire al personaggio storico una dimensione intima dallo spessore umano inaspettato; la seconda invece è riuscita finalmente nell’impresa di trovare un ruolo all’altezza delle sue capacità, quello di una donna confusa alla costante ricerca di equilibrio e tranquillità, un ruolo ricco di sfaccettature al quale la McAdams porta una dolcezza ed una delicatezza tangibili, in grado di conciliare il dramma del suo personaggio con la sua innata propensione alla positività. Se per Dafoe si tratta dell’ennesima grande performance, per la McAdams potrebbe essere l’inizio di una carriera migliore, costellata di ruoli tridimensionali. In ambito televisivo, poi, è impossibile non citare Julia Roberts in Homecoming, semplicemente perfetta nel portare su schermo una donna dalla psicologia nettamente frammentata, costantemente in bilico tra passato e presente, tra due versioni di sé apparentemente incompatibili ma in realtà complementari; e l’incredibile cast di Pose, tra cui spiccano le (quasi) esordienti interpreti transgender MJ Rodriguez, Indya Moore e Dominique Jackson, sicuramente le più gradite sorprese dell’anno.
Massimo Vozza: Il 2018 è stato sicuramente un altro anno segnato principalmente da interpretazioni femminili: Emily Blunt si è dovuta confrontare con il passato, interpretando coerentemente e con grazia il ruolo di Mary Poppins reso popolare dalla grandiosa Julie Andrews; la sconosciuta Yalitza Aparicio ha trionfato nella nuova opera di Cuarón divenendo un promessa per il futuro; Tilda Swinton si è dovuta cimentare in un triplice ruolo nel Suspiria di Guadagnino, dimostrandosi nuovamente camaleontica e magnetica; e poi Joanna Kulig che attraverso il personaggio di Zula è riuscita a far convivere l’attrice di un altro tempo con quella senza tempo, con la sua fisicità e voce.
Dobbiamo però volgere lo sguardo ancora una volta verso il Lido per trovare la migliore performance, o meglio le migliori: perché Olivia Colman, Emma Stone e Rachel Weisz sono le vere mattatrici di questa annata nei rispettivi ruoli della Regina Anna, Abigail Masham e Sarah Churchill. In The Favourite, le tre attrici, al di là delle lotte di potere interne alla trama, s’incontrano e scontrano in una gara di recitazione eccezionale, segnata da toni grotteschi, commedia nera e vero dramma. L’unanime bravura e la coralità data alle tre donne hanno reso di difficile definizione chi fosse la vera e propria protagonista dell’opera, ognuna con la sua storyline, ognuna capace di tener testa all’altra nelle scene in comune. Supportate dall’ottima scrittura, sono riuscite a rendere l’ambivalenza che caratterizza i loro personaggi con coerenza e capacità di adattamento: la Weisz tra machiavellica freddezza e sentimentalismo, la Stone tra apparente ingenuità e spietata scaltrezza, e la Colman tra disturbo e lucidità mentale. Ora tocca solo aspettare per vedere quanto e se riusciranno a trionfare in questa stagione di premi.