Sogno e modernità: L’arte di Spike Jonze

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Di Brian Freschi

Oggi, ad un passo dal confine dei 50, compie gli anni uno dei più grandi innovatori “in punta di piedi” degli ultimi trent’anni: il regista, sceneggiatore, attore e produttore Spike Jonze. “In punta di piedi” perché nessuno lo sente arrivare: è come una presenza fantasma che, senza clamori, scandali o macchinosi artifici, ha smosso le coscienze e le avanguardie della Hollywood migliore. Da sempre maestro del “non detto” che si cela negli anfratti della coscienza umana, così come nel medium cinematografico, è difficile non trovare traccia della sua influenza nelle più importanti forme d’arte audiovisive dagli anni ’90 ad oggi.

Spike Jonze (al secolo Adam Spiegel) non è nato in una famiglia di registi o artisti e non ha frequentato costose scuole di cinema o di teatro. L’arte di Spike è nata nell’universo skateboardistico underground e nella fotografia, ancora meglio se per riviste di skate. In sintesi, la sua arte non si è formata sulla base di altre percezioni registiche e da scuole di pensiero ormai collaudate e fuori da ogni innovazione ma, piuttosto, l’ha creata per conto proprio. Il tutto in un contesto lontano dalla scena culturale, ma pieno di soggetti interessanti.
In quel microcosmo urbano, infatti, Spike incontra un gruppo che mai assoceresti alla sensibilità universalmente riconosciuta all’autore e alle sue opere: i Jackass. Indossando la maschera della totale idiozia, Spike Jonze nel corso della sua carriera ha prodotto e in parte sceneggiato la serie originale per MTV (2000 – 2002) e quasi tutti i film con Johnny Knoxville, in particolare Jackass: The Movie (2002) e Jackass Presents: Bad Grandpa (2013), quest’ultimo pure nominato agli Oscar per il miglior trucco. Probabilmente senza aspettarselo, Spike è stato tra gli artefici di uno show così unico e stravagante da conquistare platee di personalità agli antipodi e trasformarlo in un caso mediatico e sociale: se lo show piace ad Arnold Schwarzenegger tanto quanto a David Lynch non può che destare interesse ed essere scrupolosamente analizzato.
Ma con lo skate e la fotografia Spike non se la sentiva di campare tutta la vita e così è passato ad un altro media: la pubblicità. Una peculiarità di Jonze che lo rende un artista a tutto tondo è la sua incapacità di mollare qualsiasi forma di produzione, così, negli anni  della sperimentazione televisiva e pubblicitaria, Spike ebbe modo di sfogare la propria creatività: come dimenticare l’esilarante spot delle Levi’s, quello più recente di Kenzo e l’ultimo irresistibile spot per HomePod della Apple?

La sua naturale evoluzione artistica l’ha poi condotto nell’ancora vasto e inesplorato mondo dei videoclip (altro medium al tempo fortemente sperimentale) scrivendo e dirigendo autentiche micronarrazioni assurde e virtuose che non si limitavano a rappresentare l’egocentrica superficialità del testo, ma scavavano ben oltre. Spike ha così diretto videoclip per i Sonic Youth, R.E.M., Björk, Daft Punk, The Chemical Brothers, Notorius B.I.G., Kanye West e Tenacious D, giusto per citare qualche nometto a caso. Fino a girare un mediometraggio per il magnifico album “The Suburbs” degli Arcade Fire e, recentemente, a dirigere  videoclip live nella direzione degli YouTube Music Awards. Dalla sua esperienza nei videoclip e in un contesto anni ’90 in cui impazzava la mania dei nuovi effetti speciali, Spike fece una scelta che lo avrebbe accompagnato in tutta la sua successiva carriera cinematografica: la limitazione all’estremo del digitale. Se gli effetti speciali venivano utilizzati erano magnifici, ma sempre al fine di nascondere la finzione e distrarre lo spettatore. Questa sua scelta si sarebbe poi rivelata in storie kafkiane poste in un realismo così sobrio da impressionare: basti pensare ai gemelli Kaufman di Adaptation. (2002) o alla città futuristica di Her (2013).
Alla fine degli anni ’90, dopo qualche esperimento come documentarista (straordinario e dimenticato Amarillo by Morning) e dopo qualche comparsata come attore in pellicole minori (The Game di David Fincher è quella più rilevante) finalmente la svolta: l’incontro con colui che sarebbe stato considerato da lì a poco uno degli sceneggiatori più visionari e geniali del nuovo millennio, ovvero Charlie Kaufman. Perché sì, se dobbiamo dare un altro merito a Spike è quello di aver incanalato al meglio il talento di Kaufman, prima di allora annichilito dal sottobosco dei pessimi programmi di varia americani. Con Kaufman, Spike dirige due cult: prima l’eterno Essere John Malkovich (1999), a cui gli è valsa la prima nomination agli Oscar come miglior regista, e successivamente il surreale e precedentemente nominato Adaptation. (2002). La collaborazione tra i due autori termina con quest’ultima pellicola: Kaufman sforna altri capolavori negli anni a seguire, mentre Spike torna alle sue svariate attività. Ma ormai il cinema gli è entrato nelle vene e la tentazione di creare nuovi mondi e sperimentare il proprio tocco autoriale diventa irresistibile. 
Joaquin Phoenix in una scena di “Her”.
Così, qualche anno dopo, Spike dona al mondo la rivisitazione fin troppo sottovalutata di una favola moderna di formazione: “Nel paese dei mostri selvaggi”, illustrato dal compianto Maurice Sendak. La pellicola si intitola Nel paese delle creature selvagge (2009) e, nonostante i problemi di produzione e il flop al botteghino, rivelò per la prima volta al mondo che Spike non era solo un bravo regista, ma anche un raffinato sceneggiatore. Da lì Spike non si è più fermato e, contemporaneamente, non si è mai venduto, sempre alla ricerca del “momento giusto” e della “sperimentazione di mode future”. Così, un anno dopo, quando ancora il fenomeno Youtube e le Webseries erano allo stadio embrionale, l’autore distribuì online I’m Here (2010), un capolavoro di mediometraggio sconosciuto ai più che è la summa del suo impatto visivo (già ampiamente testato nella produzione musicale), dell’impianto favolistico tipico della sua poetica e di un sentimentalismo travagliato, doloroso e per niente scontato.  Quest’ultimo tema, in particolare, anticipa la pellicola che determinerà la sua consacrazione e gli farà guadagnare l’Oscar per la migliore sceneggiatura originale: Her (2013), un’epopea intima e fantascientifica che scava nell’amore e nella solitudine umana, con uno stropicciato Joaquin Phoenix e la sensuale e dolente voce di Scarlett Johansson.
Dal 2013 non si sa molto di Spike, se non in merito ai suoi ultimi spot e a qualche aiutino sottobanco in favore dell’amico Johan Hill e del suo primo film da regista Mid90s, presentato in anteprima a settembre al Toronto International Film Festival. Si vocifera di una comunella segreta con Brad Pitt e il rapper e cantautore Frank Ocean, ma ancora il format del progetto resta un mistero. Conoscendolo, non possiamo far altro che aspettare il suo ritorno con la quasi totale certezza che se il mondo cinematografico si starà preparando ad un cambiamento lui lo anticiperà su tutti i fronti.

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