The Cinema Is Musical: Storia ed evoluzione di un genere magico

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Di Gabriele La Spina

Era il 2011 quando nelle sale di tutto il mondo, dopo aver conquistato il Festival di Cannes, arrivava il bellissimo quanto furbo esperimento nostalgico di Michel Hazanavicius intitolato The Artist. Il film inquadrava il periodo d’oro e il declino di un attore del cinema muto destinato all’oblio dopo l’incursione del sonoro, diretta evoluzione del cinema che da mezzo puramente visivo apriva la strada a un nuovo senso, quello dell’udito, divenendo sempre di più imitazione della vita. La pellicola si concludeva sulla soglia degli anni ’30 con la svolta, la nuova vita del protagonista con la nascita di un nuovo genere: il musical.

In pochi considerano la grande importanza che ha avuto il genere del musical nello sviluppo del cinema negli Stati Uniti. Infatti se facciamo un salto indietro di diversi decenni, facendo tappa agli anni ’30, il musical era il genere più prodotto in assoluto dagli americani, considerabile oggi il corrispettivo dei blockbuster dell’universo Marvel. 


Pioniere del genere fu il cantante e ballerino Fred Astaire, che dopo il debutto con il film La danza di Venere nel 1933,  conquistò tutta l’America a passi di danza con Flying Down to Rio, un successo che sarebbe stato amplificato dall’incontro con Ginger Rogers, nello stesso film, un sodalizio che sarebbe durato per anni. Cappello a cilindro (1935) e Follie d’inverno (1936), sono senza dubbio i più grandi successi dei due attori, al loro apice artistico, contenenti alcuni dei più memorabili brani del primo musical americano. Un genere che con il passare dei decenni sarebbe stato destinato a evolversi sempre di più e a dare alla luce grandi star. E’ senza dubbio Gene Kelly il vero grande successore di Rogers, anche lui cantante e ballerino, riconosciuto soprattutto per la pellicola Un americano a Parigi, capolavoro diretto da Vincente Minnelli  nel 1951, con le musiche del pilastro della musica jazz quale è George Gershwin. E sarà proprio quello di Minnelli il nome chiave che segnerà la nascita di una delle più grandi stelle di Hollywood: Judy Garland. Dopo diversi piccoli ruoli in varie pellicole musicali, la Garland ottiene un successo planetario interpretato la giovane Dorothy nel meraviglioso musical Il mago di Oz, è il 1939, e arriva così all’attenzione di grandi registi, e sarà Vicente Minnelli a volerla nel 1944 per il suo straordinario Incontriamoci a Saint Louis, dove affiancherà Fred Astaire e Gene Kelly, per poi volerla come moglie. Una sfavillante carriera quella della Garland, il cui punto di forza è rappresentato dalla pellicola È nata una stella (1954), una delle sue performance più memorabili.


Il tempo passa e il musical si evolve: se negli anni ’30 la danza e il canto erano soltanto un metodo di evasione dalla realtà per il pubblico, negli anni ’50 diventa sempre di più un mezzo di grande espressione artistica per i registi e di completezza per le performance attoriali. Le tematiche che prima servivano solo a giustificare i numeri musicali, adesso si fanno più forti, si affrontano temi sociali, si critica l’industria di Hollywood, il musical in quanto genere più popolare è il mezzo perfetto per arrivare al pubblico. E’ il 1961 e nelle sale americane arriva quello che ad oggi è considerato uno dei più grandi musical mai realizzati su grande schermo, tra la tematica dell’amore interrazziale, l’immigrazione e l’emarginazione delle minoranze etniche negli USA, West Side Story è un moderno Romeo e Giulietta, che per il pubblico funge da finestra sulla realtà sociale contemporanea degli anni ’60. Il musical di Robbins e Wise diventa quello dei record, conquistando ben 10 premi Oscar, record per un musical ancora oggi imbattuto. Inizia così un nuovo percorso per il genere cinematografico americano più popolare, le tematiche si fanno più serie così come le vesti, meno sfavillanti di un tempo, meno lustrini e colori sgargianti. Il musical diventa un genere da prendere sul serio.


Tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’70 il musical a due sole star, e i loro nomi sono: Liza Minnelli e Barbra Streisand. La Minnelli possedeva un nome già noto al grande pubblico, era infatti figlia di Vincente Minnelli e Judy Garland, lavora soprattutto in teatro ma il suo più grande successo arriva nel 1971, ed è il capolavoro di Bob Fosse, Cabaret. Il film, considerato uno dei musical più dalle tinte dark di sempre, adattamento dell’omonimo musical di Broadway del 1966, racconta le vicende un’attrice di cabaret, in una Berlino angosciata dalla nascita del regime nazista. Qualche anno prima era stata un’attrice teatrale di grande talento a debuttare sul grande schermo con un musical, è il 1968 e Barbra Streisand conquista il suo primo Oscar con Funny Girl, straordinaria pellicola che avrebbe dato il via alla carriera di una delle più grandi artiste viventi. Cantante e attrice, la Streisand ricoprì anche il ruolo di regista per un musical, Yentl (1983), storia di una giovane donna ebrea nella Polonia del 1904, che alla morte del padre si traveste da uomo per poter studiare, cosa che all’epoca non era permessa alle donne.


Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’80 saranno molteplici le pellicole del genere memorabili: Sweet Charity (1969) con la magnifica Shirley MacLaine, sottovalutato lavoro di Bob Fosse prima di conquistare il pubblico con Cabaret, il dissacrante Jesus Christ Superstar (1975), l’originale The Rocky Horror Picture Show (1975) e il bellissimo adattamento di A Chorus Line (1985). Paradossale pensare che un genere cinematografico che ai suoi inizi era la linfa vitale di Hollywood, che produceva centinaia di pellicole musicali ogni anno, con il passare degli anni sarebbe andato ad affievolirsi sempre di più fino a scomparire quasi del tutto. A causa forse di un pubblico più disilluso di un tempo, attirato da altri generi, ormai incapace di lasciarsi trasportare da quella magia nascosta in ogni musical. Salvo poche, e non memorabili eccezioni, il musical sembrava destinato a sparire tra gli anni ’80 e ’90, tenuto in vita solo dalle pellicole di animazione Disney, dove i numeri musicali erano ormai parte standard di ogni pellicola, ma era il musical un genere ormai solo per bambini? Con il nuovo millennio Hollywood sente sempre di più l’esigenza di tornare a dire qualcosa sul genere, provando che il musical in quanto parte integrante della storia del cinema, abbia influenzato generazioni di registi. Negli anni 2000 sono i nomi di Marshall e Luhrmann ad aggiungere qualcosa di nuovo al genere, provando che il musical non è soltanto relegato ai teatri di Broadway, dove, nonostante la crisi del genere sul grande schermo, continuano ad essere prodotti grandi spettacoli avendo un enorme riscontro sul pubblico. Baz Luhrmann con il suo Moulin Rouge nel 2001, stravolge le regole del musical e lo rimette a nuovo, con la geniale idea di adattare brani della musica contemporanea integrandoli a una trama fittizia, tipica delle maggiori opere liriche: la bella protagonista contesa però destinata. Grandi interpreti, e un’indelebile performance di Nicole Kidman, rendono il film un nuovo classico del musical contemporaneo, e in qualche modo il punto di partenza per la tanto attesa rinascita del genere nel nuovo millennio.

Ma se Luhrmann aveva dato nuova luce al genere, con una pellicola che si alternava tra estremi di follia e liricità, il regista Rob Marshall attinge alla sua cultura cinefila e crea una pellicola rigorosa, che sembra quasi provenire da una produzione hollywoodiana degli anni ’50. Il film è l’adattamento per il grande schermo di Chicago, arrivato in sala nel 2002, sarà il primo musical dopo decenni a vincere l’Oscar come miglior film. Un cast alle loro prime performance canore, composto da Richard Gere, Reneé Zellweger e Catherine Zeta-Jones, sorprende. Con i suoi numeri ben studiati e grazie a una straordinaria colonna sonora, Chicago al di fuori del genere risulta un vero e proprio capolavoro.

Anche se non ottiene il giusto riconoscimento da parte del pubblico, Joel Schumacher adatta nel 2004 per il grande schermo Il fantasma dell’opera, ne deriva un’opera maestosa e scintillante, purtroppo estremamente sottovalutata. Dopo l’esplosione del genere biopic, nel 2006 arriva un nuovo adattamento di un fortunato musical di Broadway, il suo nome è Dreamgirls, diretto da Bill Condon, che si era già occupato della sceneggiatura di Chicago. Un film che fu una scommessa in partenza, riunendo un cast di attori afroamericani per la prima volta sul grande schermo, Beyoncé e Jennifer Hudson, e per la prima volta coinvolti in performance canore. Raccontava della scalata verso il successo di un trio di cantanti, i cui personaggi erano liberamente ispirati al trio di Diana Ross, tra ingiustizie e lotte per i diritti della comunità afroamericana, Dreamgirls è un lavoro riuscito, che sbanca agli Oscar, dove coronano con la statuetta la performance della Hudson, colonna portante della pellicola.

Anche se le produzioni di musical risultano comunque incostanti, lo sviluppo di questa nuova vita del genere resta comunque carico di speranza. E’ il turno del tetro Tim Burton di cimentarsi con il genere, e nel 2007 confeziona il magnifico Sweeney Todd: il diabolico barbiere di Fleet Street, nessuna storia come quella di un vendicativo barbiere omicida a Londra sarebbe stata più affine alla filmografia di Burton, che per l’occasione chiama alla sua corte i fidatissimi Johnny Depp ed Helena Bonham Carter, che offrono le migliori performance delle loro carriere. Dopo il nuovo adattamento di Hairspray (2007) e il tentativo mal riuscito di Rob Marshall, di replicare il successo di Chicago, con Nine (2009), adattamento del musical ispirato a  di Fellini, nel 2012 arriva un nuovo progetto memorabile, ed è quello di Tom Hooper, che porta in sala l’adattamento del fortunatissimo musical di Broadway basato sul romanzo di Victor Hugo, Les Misérables. Ancora una volta il musical risulta essere uno dei generi più fruttuosi per gli attori, e permette ad Anne Hathaway di conquistare la statuetta come miglior attrice non protagonista per la sua interpretazione del celebre personaggio di Fantine.


Nel corso dell’articolo abbiamo citato alcuni degli esempi più memorabili di musical del nuovo millennio, ma sono solo alcune delle produzioni cinematografiche del genere. Ricordiamo anche il meraviglioso Dancer in the Dark (2000) diretto dal controverso Lars Von TrierRomance & Cigarettes (2004), The Producers (2005), Rent (2005), Rock of Ages (2012) e infine la serie televisiva di Ryan Murphy Glee, trasmessa tra il 2009 e il 2015, che in qualche modo omaggia ogni musical citato.
Nuove grandi pellicole sembrano voler continuare la straordinaria storia del musical americano, e per nostra fortuna, evolvere il genere. Il futuro ci riserva nuovi grandi musical sulla carta, dall’adattamento di Wicked, uno dei musical più proficui di Broadway, a quello di Sunset Boulevard, versione musicata dell’iconica pellicola del 1950 e il tanto inseguito adattamento di Cats. Il 2016 intanto ci riserva La La Land, nuova attesa pellicola di Damien Chazelle, regista di Whiplash (2014), omaggio alla vecchia Hollywood dei musical di cui abbiamo ampiamente parlato all’inizio di questo articolo, con protagonisti Ryan Gosling ed Emma Stone. Prova tangibile che, come nella pellicola The Artist, citata a inizio articolo, non vi è mai fine a un genere, tutto si evolve in qualche modo e il musical è destinato a scrivere ancora la storia del cinema.