Di Daniele Ambrosini
Anna Foglietta e Giampiero De Concilio in ‘Un giorno all’improvviso’ |
“Miriam è una donna che ha una voglia matta di farsi abbracciare, ma non riesce a farlo. Una donna che chiede amore ma non riesce a empatizzare col mondo, è una donna che appare come una bipolare ma in realtà è una narcisista patologica“. Parte dei suoi problemi derivano dall’impossibilità di far combaciare la realtà con l’immagine idealizzata che ha della sua vita, della sua famiglia, ma soprattutto dell’uomo che ama, Carlo, che secondo D’Emilio è “una figura che non esiste, perché Carlo in realtà è Carlo, mentre nella mente di Miriam è altro, non è neanche quello con cui a sedici anni ha concepito Antonio, è proprio un altro Carlo che non è mai esistito“. Un’ossessione quella descritta nel film che gli autori hanno sempre pensato dovesse essere un punto focale del personaggio e che pensano risalga al suo passato: “questa carenza nel background del nostro personaggio l’abbiamo ricollegata a una grande carenza della figura paterna in casa e una grande presenza della figura materna“, ha aggiunto il regista sull’argomento.
“Nel momento in cui Carlo ha la lucidità di allontanarsi da questa donna malata, l’unica vittima che riesce a mietere, a fagocitare è proprio la creatura nata da quel concepimento e poi rifiutata da Carlo, Antonio; che crescendo apprende dei codici del tutto personali, codici difficili da sradicare dalla mente di un ragazzo. Tant’è che cresce con la convinzione che la maniera nella quale dimostrare amore alle altre persone è attraverso la cura, il prendersi cura. Questo grado di responsabilità che si innesta nella sua vita fin da piccolo lo trasporta in un territorio ostile, che non è certo quello della fanciullezza.“
Pur raccontando una realtà di periferia, Un giorno all’improvviso ha il pregio di non enfatizzare gli aspetti più propriamente drammatici del suo racconto, di non sprofondare mai nella tragedia, ma anzi, riesce a bilanciare in maniera convincente il dramma del racconto familiare al centro della narrazione e la leggerezza del racconto di formazione. Ciro D’Emilio riesce, potremmo dire, a portare nel suo film un po’ di quella solarità del sud che i film di stampo prettamente realista non riescono a cogliere, o anzi, ignorano del tutto. Così facendo dona al suo film un qualcosa che lo rende immediatamente riconoscibile dagli altri che in tempi recenti hanno raccontato il sud. E la scelta di questo tono particolare è stata fondamentale nella creazione della storia stessa, come ci racconta lui stesso.
“La scelta del tono è stata fin da subito condivisa da me e da Cosimo fin dai primi giorni di scrittura. Volevamo che il film mostrasse la bellezza che appartiene all’età che Antonio ha anagraficamente. Miriam è già portatrice sana di dramma, perciò con gli altri personaggi volevamo creare una giostra di emozioni, anche e soprattutto, leggere, tale da farti sentire quasi il bisogno di prendere Antonio e dirgli “guarda quanto è bello il mondo che ti stai perdendo!”. Quella è stata un po’ la sfida, anche perché spesso e volentieri si tende a generalizzare quando si racconta – e secondo me spesso lo si racconta male – il sud del mondo, nel farlo alle volte si creare una visione iconoclasta, un po’ scatologica delle tematiche del sud. Perciò ci siamo divertiti anche a fare qualcosa che non viene fatto spesso nella mia terra. Solitamente o vengono fatte delle commedie volutamente sempliciotte che vanno a edulcorare e a rendere retorica un’arena che ha una storia importante di commedia alle spalle, fatta di grandi nomi e grandi cult, oppure si tende a fare qualcosa, che sia di genere o che sia d’autore, che sia sempre profondamente drammatico, nel senso che il dramma è onnipresente in ogni singola scena. Nel nostro caso, invece, volevamo il contrario: Antonio si prende la zavorra di Miriam, la vera portatrice di dramma nella storia, però attorno a lui ci sono i colori e le bellezze di una vita sociale, di un quotidiano che sembra costantemente ricordare ad Antonio che Dio gli ha dato tutto il necessario per vivere una vita felice. Dovrebbe solo spostare il suo punto di vista.”
Come detto prima, Un giorno all’improvviso è un film sul sud inteso in senso ampio, e da ciò si potrebbe facilmente dedurre che la voglia di ribaltare lo stantio immaginario comune del sud del suo autore potrebbe derivare da un forte attaccamento a questo luogo, tuttavia Ciro ha imparato col tempo ad apprezzare le sfumature, le contraddizioni e gli elementi che caratterizzano la sua provincia. “Ho sempre avuto un rapporto molto conflittuale con la mia terra“, ci ha raccontato. “Tant’è che a diciotto anni sono scappato a Roma per inseguire i miei sogni e continuare i miei studi, perché mi sentivo totalmente incompreso. Probabilmente ero io a non comprendere i codici, i dettami di quella terra, sia a livello sociale che antropologico – cosa che ho imparato a fare poi, stando a distanza e apprezzandone le piccole cose, ma dosandole, probabilmente anche con la serenità derivante dal sapere che ho costruito la mia vita altrove. Però era importante nel mio primo film, quasi come un’espiazione, far allineare il racconto universale di un sud del mondo, di una provincia, al mio sud, alla mia terra, alla Campania“.
L’opera prima solitamente è un’opera passionale, estremamente personale, perciò abbiamo esteso questa riflessione anche all’ambito formativo chiedendogli se ci fosse qualcosa del suo percorso di crescita e della sua vita familiare nella storia di Antonio e la risposta è stata netta: “Io ho avuto un rapporto diverso con i miei genitori. Sono cresciuto in una famiglia dove, al netto delle cose giuste e delle cose sbagliate, dei pregi e dei difetti di ognuno di noi, si è sempre cercato di mantenere un rapporto solido. I miei genitori accettando le scelte dei propri figli, a volte anche lasciandoci sbagliare, e lasciandoci liberi di scegliere, hanno ottenuto la loro vittoria. Non avrei nulla da rimproverargli riguardo alla mia educazione. Poi sono sempre stato una persona molto curiosa, quindi crescendo ho osservato tante altre vite, alcune più vicine, altre più lontane dalla mia, e ho raccolto dentro di me immagini che mi hanno ispirato nella costruzione visiva di Un giorno all’improvviso. Essendo il primo film, poi, è anche abbastanza normale scavare dentro sé stessi – come si dovrebbe fare sempre – e trovare risposte appartenenti alla gioventù. Quando mi riferivo ad espiazione nei confronti della mia terra e delle persone della mia terra mi riferivo un po’ anche a questo“.
Alla fine dei giochi, però, cos’è che il suo autore spera che gli spettatori portino con se una volta terminata la visione? Una nota di positività, a sentire le sue parole: “Io non ho mai preteso che la mia visione fosse necessariamente condivisa, ma ho sempre sperato che in quella scelta che Antonio fa nel finale il pubblico vedesse una liberazione“. E nel raccontarci questo ha anche aggiunto che il finale del film non va interpretato come la chiusura definitiva della storia di Antonio, ma come la chiusura naturale di una sezione della sua storia. “Sono contrario all’idea che il mio film abbia un finale aperto. La vita non si chiude, la vita continua. Che piaccia o meno, questo è un film sulla vita e un film sulla vita per me non può terminare. Io vedo un finale perché vedo la vita, perché vedo che Antonio sceglie la vita. Spero sempre che questa cosa venga colta“.
In conclusione abbiamo chiesto a Ciro, che in questi giorni è impegnato nella post produzione di una serie televisiva e nella preparazione del suo prossimo film, di consigliarci qualche titolo da recuperare nel corso di questa quarantena e lui ci ha raccomando tre delle sue visioni più recenti: A ciascuno il suo di Elio Petri, datato 1967, con protagonisti Gian Maria Volontè e Gabriele Ferzetti; Storia di un matrimonio di Noah Baumbach, del quale ci dice: “è un capolavoro, mi ha toccato veramente tanto“; e in fine I due papi di Fernando Meirelles, da lui definito “un film con degli azzardi molto importanti che probabilmente solo un autore come Meirelles può permettersi, ma che si lascia comunque seguire. I due attori protagonisti sono formidabili e i dialoghi sono incredibili“.
Ringraziando ancora Ciro D’Emilio per la disponibilità, rinnoviamo il nostro invito a recuperare Un giorno all’improvviso, che sarà disponibile online gratuitamente per ventiquattro ore sull’account vimeo della casa di distribuzione No.Mad Entertainment a partire dalle 21 di questa sera. Inoltre, per chi fosse interessato, alle 23:30 Ciro insieme al protagonista Giampiero De Concilio saranno live su Facebook per discutere del film e rispondere alle domande del pubblico.