e Arthur Miller la definirono “la più grande attrice del nostro tempo”.
Katharine Hepburn la descrisse come “una meraviglia a vedersi e a sentirsi”. È Vanessa Redgrave, nata a Londra il 30
gennaio 1937 e figlia degli attori Michael Redgrave e Rachel Kempson.
Sin dal
suo esordio a fianco del padre nel 1958 in Behind
the Mask, la Redgrave ha
regalato una miriade di interpretazioni eccezionali, recitando a teatro le
opere dei grandi quali Shakespeare, Cechov, Williams e O’Neill e lavorando al
cinema con registi del calibro di Michelangelo Antonioni, James Ivory, Ken
Russell, Stephen Frears, Fred Zinnemann, Elio Petri e Brian De Palma. Ha vinto
un Premio Oscar, due Golden Globe, due Premi Emmy, la Coppa Volpi e due Premi
per la miglior interpretazione femminile al Festival di Cannes. Il prossimo
mese riceverà il Leone d’Oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia.
Ma
Vanessa Redgrave non è solo una
grande attrice, ma anche una grande donna e attivista: si è sempre battuta in
difesa della working class, dei diritti umani, delle donne, della comunità LGBT
e dell’ambiente, schierandosi apertamente contro la guerra in Vietnam, il Thatcherismo,
l’apartheid, le condizioni disumane dei prigionieri a Guantánamo, le atrocità
commesse nei confronti dello stato palestinese e la “guerra al terrorismo”. Nel
2004 ha fondato insieme al fratello Corin il partito politico Peace and
Progress. Nel 2017 ha esordito alla regia con Sea Sorrow, un documentario sulla crisi europea dei migranti e in
particolar modo i bambini rifugiati. Le sue politiche di estrema sinistra l’hanno
resa un personaggio controverso, particolarmente criticato dall’ala
conservatrice di Hollywood, ma il suo impegno politico è una delle ragioni che
la rende una così grande attrice. La sua empatia e la sua compassione fanno sì
che i suoi lavori non siano mai semplici interpretazioni: sono ritratti di
umanità in tutte le sue sfaccettature e in certi casi diventano portatori di un
vero e proprio messaggio sociale e politico.
Ecco i 10 ruoli che dimostrano non
solo la versatilità dell’attrice, ma anche e soprattutto la sua capacità di
immedesimarsi nelle sofferenze e nelle passioni di altri individui e che
rendono la sua illustre carriera pienamente meritevole del Leone d’Oro.
Vanessa Redgrave in “Blow Up”
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10. Jane in Blow-Up (1966)
prima nomination all’Oscar per la sua interpretazione in Morgan matto da legare di Karel Riesz e prese parte ad uno dei film
più celebrati del grande Michelangelo Antonioni, Blow-Up. Un’esoterica riflessione sulla soggettività della
percezione umana, Blow-Up dimostra la
versatilità dell’attrice la cui interpretazione è in perfetta sintonia con lo
stile peculiare di Antonioni. Del suo personaggio sappiamo a malapena il suo
nome, Jane è un enigma che resta perennemente irrisolto. La Redgrave regala un’interpretazione
tanto ipnotica e carismatica quanto ambivalente e indecifrabile: la sua Jane
diventa uno schermo su cui lo spettatore proietta le sue idee e impressioni e
l’attrice ci porta a interrogarci sulle motivazioni del personaggio lasciandoci
senza risposta. In sole due scene, l’attrice crea un personaggio affascinante
che arricchisce l’intero film.
Frears, racconta la tormentata relazione tra il celebre drammaturgo Joe Orton
(un ottimo Gary Oldman) e il suo infelice amante Kenneth Halliwell (un altrettanto bravo Alfred
Molina). La Redgrave interpreta
Peggy Ramsay, l’agente di Orton che racconta retrospettivamente la storia dei
due ad un giornalista statunitense. Le scene dell’attrice costituiscono la
cornice della narrazione e il ruolo stesso è strumentale, potenzialmente
accessorio. Eppure la Redgrave riesce
a portarvi spessore e tridimensionalità, rendendo la Ramsay uno dei personaggi
più interessanti del film. La sua interpretazione sarcastica ma colma di
tenerezza la raffigura come una donna tanto pungente quanto tollerante,
empatica e comprensiva. È il tramite tra la storia e lo spettatore, una
finestra attraverso cui osserviamo gli eventi e li comprendiamo. È un esempio
lampante del talento e dell’intelligenza dell’attrice la quale grazie al suo
singolare carisma riesce ad elevare un ruolo che nelle mani di un’altra attrice
avrebbe potuto essere monodimensionale.
ne I bostoniani (1984)
romanzo di Henry James, I bostoniani di
James Ivory è un film elegante e ben scritto che riesce a catturare l’ambiguità
morale dell’opera da cui è tratto malgrado alcune interpretazioni poco riuscite
da parte di Madeleine Potter e Christopher Reeves. La Redgrave interpreta Olive Chancellor, una fervente femminista che
si contende con un giovane avvocato conservatore il cuore e la mente di una
bellissima giovane. È un ruolo che non gode di moltissimo tempo sullo schermo,
ma la Redgrave ruba la scena ogni
volta che compare grazie al suo ritratto complesso e sfaccettato. L’attrice non
sfocia mai nel patetismo e non ha paura di raffigurare gli aspetti meno lusinghieri
della donna, come la sua gelosia e possessività, eppure la sua Olive risulta il
personaggio più toccante del film, una persona tanto convinta dei suoi ideali
quanto confusa dai sentimenti che prova per la ragazza. Regala
un’interpretazione tormentata, irrequieta, in un crescendo di intensità
culminante nel suo monologo finale sull’emancipazione femminile che trascende
il film stesso per assumere un carattere universale.
Lumet. Tratto dall’omonimo dramma di Cechov, sembra più uno spettacolo teatrale
filmato che un prodotto cinematografico, una sensazione acuita dalle
inquadrature statiche e da un’estetica scialba. Se il film prende vita è grazie
alla bellezza del materiale di partenza e dalle buone interpretazioni da parte
del cast, che include Simone Signoret e James Mason. La Redgrave ricopre il ruolo di Nina, un’aspirante attrice diligente
ma priva di talento che si innamora di un famoso, affascinante scrittore. È un
personaggio che appare semplice a primo impatto ma che rivela sfumature
inaspettate man mano che la storia va avanti e la Redgrave mette in luce tutte le sue complessità. Incarna alla
perfezione il candore e l’ingenuità di Nina e si confronta con il difficile
linguaggio di Cechov dimostrandosi perfettamente all’altezza. L’attrice esegue
brillantemente i monologhi del personaggio trovando un compromesso perfetto tra
la teatralità della sceneggiatura e la misuratezza dello stile cinematografico.
Nelle ultime scene del film, in cui Nina si rinchiude in un mondo di illusioni
piuttosto che accettare il suo fallimento, raggiunge picchi di devastante
intensità.
dimenticato sulla vita della cantante ebrea Fania Fenelon e in particolar modo
sulla sua prigionia nel campo di concentramento di Auschwitz. Il film è ricco
di grandi interpretazioni femminili, tra cui spiccano quelle di Jane Alexander,
Shirley Knight, Marisa Berenson e, ovviamente, quella della Redgrave nel ruolo della Fenelon. L’attrice offre un ritratto
straziante di una donna che cerca di aggrapparsi al suo ultimo brandello di
umanità nella situazione più deumanizzante possibile, interrogandosi sulle
cause dell’insensata malvagità dell’Olocausto, mentre cerca conforto nella
bellezza dell’arte in un mondo in cui non vi è più posto per essa. L’estenuante
primo piano che chiude film, in cui la Fenelon canta la Marsigliese con voce
rotta e il vuoto negli occhi, è uno dei momenti più alti della carriera
dell’attrice.
Vanessa Redgrave in “Morgan matto da legare”
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legare (1966)
Morgan matto da legare è il film che
ha fruttato alla Redgrave la sua
prima nomination all’Oscar (oltre al suo primo premio come miglior attrice al
Festival di Cannes). Benché sia per certi versi un po’ datato, è un film spassoso
e originale e un interessante ritratto dell’ambiente londinese negli anni
immediatamente precedenti alla rivoluzione culturale. Il protagonista è Morgan
(un eccezionale David Warner), un giovane trotskista con una passione per i
gorilla che cerca disperatamente di riconquistare sua moglie Leonie, una donna
altoborghese che è in procinto di ottenere il divorzio. Con un protagonista
eccentrico come Morgan, il personaggio di Leonie sarebbe potuto
apparire blando ma la Redgrave lo rende tanto interessante quanto quello di Warner. La sua interpretazione è elettrizzante,
imprevedibile e spiritosa e l’attrice porta al personaggio un carisma unico e un’energia
contagiosa. E soprattutto riesce a cogliere i sentimenti contrastanti di Leonie,
che è irrimediabilmente attratta dalla personalità stravagante di Morgan
nonostante sia proprio questa ad esasperarla. Sono queste contraddizioni che
rendono il personaggio così affascinante, e la Redgrave riesce ad essere profondamente toccante nel mostrare come Leonie conserva ancora i residui dell’amore che un tempo la legava a Morgan.
barriere sociali agli inizi del Novecento, annovera tra il suo cast alcuni dei
nomi più grandi del cinema inglese quali Emma Thompson (meritatamente premiata
con l’Oscar), Helena Bonham Carter e Anthony Hopkins, oltre ovviamente alla
stessa Redgrave. L’attrice compare
per poco più di un quarto d’ora nel film, eppure il suo indelebile ritratto di
Ruth Wilcox è uno degli aspetti più memorabili. Ruth è un personaggio molto
affascinante, una donna aristocratica che, consapevole della sua morte
imminente, decide di lasciare la sua casa ad una giovane borghese superando il
divario sociale che le differenzia. È un’interpretazione nostalgica e delicata
la cui bellezza sta nei dettagli, nei piccoli gesti, negli sguardi fugaci,
negli spazi tra le parole, negli improvvisi sprazzi di vitalità di una donna
morente che non ha smesso di amare la vita. Nonostante il suo brevissimo tempo
sulla scena, la Redgrave realizza una caratterizzazione completa secondo ogni
punto di vista.
carriera, Vanessa Redgrave si è
sempre schierata ferocemente contro politiche filofasciste, attirando
l’ammirazione di molti e l’avversione di altri. Perciò è calzante che ad averle
fruttato l’Oscar sia stato il ruolo di Giulia, una ragazza benestante che
rinuncia ai suoi privilegi per prendere parte alla Resistenza contro il
nazifascismo. Nonostante il suo personaggio dia il titolo al film e sia il suo
baricentro, la Redgrave compare in
pochissime scene: non seguiamo la sua prospettiva ma quella del personaggio
interpretato da Jane Fonda, ovvero la scrittrice Lillian Hellman, migliore
amica di Giulia. Tuttavia, l’interpretazione della Redgrave è così indelebile che la sua presenza aleggia sull’interno
film e permea anche i passaggi in cui non compare. Nelle sue prime scene
trasmette alla perfezione l’integrità degli ideali di Giulia rendendola una
figura di una purezza quasi eterea. Rientra in scena solo nell’ultima parte del
film, in una scena straziante in cui le due amiche si rincontrano dopo anni. È
il climax della storia e le due attrici sono straordinarie: la Redgrave è commovente nel ritrarre la
gioia di Giulia nel ricongiungersi con Lillian, ma la sua interpretazione rivela
anche l’amarezza mascherata da un freddo pragmatismo di una donna che ha perso
tutto in nome della sua causa.
Isadora Duncan, nota per essere stata la precorritrice della danza moderna e
per il suo stravagante stile di vita all’insegna dell’indipendenza e dell’amore
libero. È un ruolo molto esigente sia dal punto di vista fisico che da quello
emotivo, ma l’interpretazione della Redgrave
è un trionfo su entrambi i fronti. Non solo esegue le scene di danza con una
mirabile precisione tecnica, ma le recita, utilizzando la fisicità per trasmettere
l’incontrollabile spirito di libertà che caratterizza Isadora. La Redgrave regala
un’interpretazione volutamente sopra le righe, ma non ridicolizza mai il suo
personaggio: la sua stravaganza ed eccentricità non sono segno di frivolezza, ma
di un abbraccio alla vita e all’amore in tutte le sue forme e manifestazioni.
Il film ripercorre la carriera della Duncan alternandola a scene incentrate
sugli ultimi anni di vita della donna: in esse, la Redgrave è eccezionale nel mostrare come l’età e l’alcol hanno
indebolito il fisico della donna ma non hanno potuto intaccare la sua voglia di
vivere. È un’interpretazione esplosiva e vitale, che ha fruttato all’attrice un
meritatissimo premio per la miglior interpretazione femminile al Festival di Cannes.
Vanessa Redgrave ne “I diavoli”
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Angeli ne I diavoli (1971)
accaduti nel 1634, è uno dei film più controversi della storia del cinema:
presentato alla Mostra del Cinema di Venezia del 1971, fu accusato di essere
un’opera blasfema, volgare e faziosa e fu ritirato dalle sale cinematografiche
quasi immediatamente dopo la sua uscita. È ancora oggi vietato in numerosi
paesi del mondo e nelle rare occasioni in cui viene mostrato è pesantemente
censurato. Che la Redgrave abbia deciso
di prenderne parte è il segno del suo coraggio e della sua integrità artistica,
ed è proprio in questo film che offre la sua più grande interpretazione. Il
ruolo è quello di Suor Jeanne degli Angeli, la badessa di un convento la cui
frustrazione per il suo fisico deforme e per la sua attrazione non corrisposta
per il presbitero Grandier furono la causa scatenante di un caso di isteria
collettiva che portò ad una sanguinosa caccia alle streghe. Si tratta di una
performance grottesca, viscerale e agghiacciante e l’attrice incarna senza
inibizioni la psiche depravata della donna. Ma ciò che rende il suo ritratto
così indimenticabile è la fragilità e l’umanità che la Redgrave porta al personaggio in quei piccoli momenti di dubbio e
malinconica introspezione, in cui l’attrice rivela la profonda disperazione che
si cela dietro alle sue azioni. La sua Suor Jeanne è inquietante e
alienante, ma in una certa misura riesce a essere persino commovente. È un
ritratto psicologico di straordinaria complessità che consacra la Redgrave come una delle attrici più
audaci e più grandi della storia del cinema.
Stuarda regina di Scozia (1971) sia più spesso una soap opera in costume
che un film storico da prendere sul serio, Vanessa
Redgrave offre una memorabile interpretazione. Nel corso della storia, il
personaggio è stato spesso raffigurato come una figura quasi machiavellica, una
donna manipolatrice e senza scrupoli, ma l’approccio della Redgrave è atipico e originale: la sua Maria Stuarda è una donna
vulnerabile e passionale coinvolta in un gioco politico che non è in grado di
affrontare. Nelle scene finali del film, in cui la monarca accetta la sua morte
con dignità, l’attrice porta al film un pathos e una profondità che non avrebbe
mai raggiunto senza di lei. Degna di nota è anche la sua prova ne Il mistero di Wetherby (1995), in cui l’attrice
ritrae alla perfezione la paralisi emotiva di una donna sola che deve trovare
la forza di ricominciare a vivere. Tra le sue performance più recenti, bisogna
ricordare il suo brevissimo ma straziante cameo in Espiazione (2007) e il suo indelebile ritratto della tenace
matriarca Volumnia in Coriolanus (2011)
di Ralph Fiennes, tratto dall’opera omonima di Shakespeare.