Ma per il resto del mondo, Cynthia Erivo è rimasta un’artista prevalentemente sconosciuta. O, perlomeno, lo è rimasta fino a quest’anno, in cui l’attrice ha fatto il suo esordio sullo schermo d’argento. E non con un film solo ma ben due: Widows – Eredità criminale, avvincente caper movie diretto da Steve McQueen, e 7 sconosciuti a El Royale, brillante film di Drew Goddard.
In entrambi i film, l’attrice è affiancata da attori affermati e rinomati (Viola Davis, Elizabeth Debicki e Robert Duvall nel primo, Jeff Bridges e Jon Hamm nel secondo) eppure riesce a lasciare un’impressione indelebile nella mente dello spettatore. Dire che rubi la scena sarebbe improprio: la Erivo non è quel tipo di attrice il cui unico scopo è valorizzare il proprio lavoro, ma è una vera e propria artista che ha a cuore il valore complessivo dell’opera. Il suo talento come attrice sta anche e soprattutto nella sua capacità di rapportarsi con le sue co-star, contribuendo alla riuscita della loro interpretazioni anziché oscurarle, e di arricchire l’intero film anche senza fare apparentemente nulla. E’ un’attrice il cui sguardo attento e solerte la rende una presenza vitale e attiva anche quando è in silenzio, il cui viso peculiare e unico le garantisce un’espressività senza pari e la cui voce calda e vibrante la rende una presenza piacevole e rassicurante sullo schermo. Osserviamo nel dettaglio (potrebbero esserci spoiler) le due interpretazioni di quest’attrice, che si spera abbia la carriera che lei e il suo talento meritano. Non lo sappiamo ancora, ma sembra decisamente essere sulla buona strada.
Viola Davis e Cynthia Erivo in una scena di “Widows – Eredità criminale”.
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Se Veronica, Linda e Alicia sono spinte in parte dal dolore, in parte dalla disperazione e in parte dal pericolo che incombe sulle loro vite, Belle è motivata esclusivamente dal suo desiderio di portare via la sua famiglia dalla Chicago corrotta e depravata, in cui la classe dirigente la fa da padrona mentre i meno abbienti, specie se di colore, sono costantemente schiacciati e umiliati e presi in considerazione solo durante la campagna elettorale. Il suo personaggio rappresenta quella parte della popolazione che, poiché perennemente trascurata e calpestata, ha perso ogni fiducia in qualsiasi istituzione e non si dimostra per nulla restia ad infrangere la leggi di uno stato che non la tutela, non la considera e non la protegge. Questo non significa che Belle sia un personaggio apatico e indifferente, anzi è forse quello più sensibile alle sofferenze degli altri. E’ l’unica, per esempio, a percepire il profondo disagio e malessere che si cela dietro alla freddezza di Veronica.
Nella loro ultima scena insieme, Belle non dice nulla ma le rivolge un sorriso colmo di comprensione, empatia e amarezza che dice tutto. E il suo ultimo gesto verso la fine del film è forse il momento più umano di tutta la storia, uno spiraglio di speranza fondato sulla solidarietà. La critica si è concentrata principalmente sulle interpretazioni della Davis, della Debicki e di Daniel Kaluuya, e giustamente perchè tutti e tre gli attori sono sensazionali. Ma anche quella della Erivo è una grande interpretazione, che resta impressa nella mente dello spettatore tanto quanto quelle sopracitate: nel suo piccolo ruolo, l’attrice riesce a dare un enorme contributo al film e al suo messaggio socio-politico. Widows – Eredità criminale sarebbe un film inferiore senza di lei.
Cynthia Erivo in una scena di “7 sconosciuti a El Royale”.
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Ma ancora migliore è la sua interpretazione in 7 sconosciuti a El Royale, un film meraviglioso fortemente sottovalutato sia dalla critica che dal pubblico e che rende l’attrice, a tutti gli effetti, la novità più sorprendente del 2018. Incentrato su un gruppo, appunto, di 7 sconosciuti che si ritrovano in un hotel semi deserto a cavallo tra la California e il Nevada, non solo è un’opera incredibilmente avvincente ma anche uno sfaccettato ritratto degli anni Sessanta in America, in tutte le loro problematiche contraddizioni. Cynthia Erivo interpreta Darlene Sweet, una cantante che non ha ancora trovato la fama degna del suo straordinario talento. Si tratta di un ruolo estremamente complesso perché chiede all’attrice di essere più cose contemporaneamente: un personaggio a tutto tondo, un simbolo per le discriminazioni degli afroamericani negli anni Sessanta e un tramite tra la storia e lo spettatore. E la Erivo si dimostra perfettamente all’altezza della parte regalando un’interpretazione assolutamente formidabile. Innanzitutto, quello che colpisce è la spontaneità della sua recitazione: non c’è un singolo momento nella sua performance che non sembri autentico e vero.
E la sua capacità di comunicare un’infinità di sensazioni tramite le sue piccole espressioni facciali è sconvolgente. Darlene parla poco ma comunica molto. Non può permettersi di rispondere agli insulti sprezzanti che le vengono rivolti con così tanta noncuranza. E’ una donna afroamericana negli anni Sessanta: non può concedersi il lusso di dire quello che pensa, non c’è nessuno pronto a prendere le sue parti, è sola e indifesa contro il mondo. E quindi si lascia scivolare addosso le offese, le squallide battute e la mancanza di rispetto: non perché lo accetti, ma perché l’auto-preservazione è più importante dell’orgoglio. Solo quando è nella sua camera, senza nessuno attorno, Darlene si può esprimere liberamente e lo fa nel modo che conosce meglio: cantando. Le scene canore sono tra le più belle del film, perché la voce della Erivo non solo è splendida da sentire, un suono cristallino tanto potente quanto delicato, ma anche estremamente espressiva: le canzoni di Darlene sono una finestra sulla sua vita interiore, l’unico mezzo con cui può dare sfogo ai suoi sentimenti e alle sue emozioni. Per la maggior parte del film, Darlene è un personaggio tecnicamente passivo, che non è coinvolta direttamente nella storia ma piuttosto la subisce: eppure l’interpretazione della Erivo non è mai statica, perché rende Darlene un’osservatrice attenta e acuta.
Nel suo disorientamento e nella sua confusione, Darlene riflette le sensazioni dello spettatore che è portato a empatizzare con lei in modo particolare rispetto agli altri personaggi. A differenza di questi ultimi, Darlene non ha scheletri nell’armadio: è solo una donna che insegue il suo sogno e tenta di sopravvivere. La comprendiamo, ci identifichiamo con lei e ci affezioniamo. Tanto è che il momento più emozionante del film è forse il suo monologo durante l’atto finale, in cui finalmente rivendica la sua voce e prende la parola smascherando l’ipocrisia, l’egoismo e la disumanità di Billy Lee (villain del film interpretato da Chris Hemsworth).
In un film che mette in luce le problematiche della società americana (allora ma anche oggi), Darlene Sweet rappresenta coloro che subiscono le ingiustizie ma che vanno avanti sempre e comunque e che, malgrado tutto, preservarono la loro decenza e la loro compassione. E’ lei, con le sue malinconiche canzoni, il suo sguardo comprensivo e il suo tenero rapporto con Padre Flynn (Jeff Bridges), il cuore della storia. E in un film permeato dalla violenza, dalla crudeltà e dall’ingiustizia, quell’ultimo scambio di occhiate tra Flynn e Darlene, quel piccolo momento di conforto e complicità, riafferma i valori di un’umanità danneggiata ma ancora fiduciosa in un futuro in cui la solidarietà vale ancora qualcosa.